Alessandro Bilotta in un ritratto di Marco Marini

 

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Alessandro Bilotta

a cura di Daniele D'Aquino

 

Strana la genesi di questa intervista.

Qualche giorno dopo la pubblicazione dell’articolo su “La Dottrina”(se non l’avete ancora letto cliccate qui!), mi arriva una e-mail di Alessandro Bilotta in persona, che mi ringrazia per il giudizio positivo da me espresso sul suo lavoro.

Inorgoglito da quelle lodi sperticate, non perdo comunque lo spirito d’iniziativa del fanzinaro e approfitto della ghiotta occasione per proporre ad Alessandro un’intervista.

Lui accetta e così, in un piovoso pomeriggio capitolino, ci incontriamo nella sede della Montego.

Attorno a noi pile altissime di fumetti (Giulio Maraviglia, Altai&Jonson, Il dono nero, Velo di Maya, Tharak il selvaggio, Tu che m’hai preso il cuor…) e numerosi disegni alle pareti (tra cui anche un Pinocchio sanguinario realizzato dallo stesso Bilotta).

Alessandro è un ragazzo simpaticissimo, alla mano, con cui è un vero piacere parlare (e quanto parla!). La nostra chiacchierata è continuata anche dopo l’intervista, scambiandoci opinioni sul fumetto e reciproci consigli di lettura.

Dal punto di vista artistico considero Bilotta uno degli sceneggiatori più promettenti del panorama italiano. E’ vulcanico, eclettico, perfezionista.

Non a caso nel 2001 ha vinto il Premio Fumo di China come “miglior nuovo autore di fumetto realistico”.

 

Allora, cominciamo da “La Dottrina”. Su Internet (e non solo) qualcuno la liquida come un miscuglio tra “V for Vendetta” e “1984”…

 

La Dottrina” è una storia sulla distopia. E la distopia, secondo me, è quasi un genere. O meglio un sottogenere fantascientifico, se vogliamo usare queste orribili catalogazioni per capirci.

Nessuno degli scrittori che raccontano di detective privati viene accusato di copiare Chandler. Siccome sulla distopia non è stata realizzata altrettanta quantità di opere, allora è più facile dire: “Hai copiato Moore e Orwell!”.

Si tratta solo di una mancanza di riferimenti.

In realtà poi “1984è un romanzo che non ho amato.

 

Secondo me è sopravvalutato…

 

A “1984” preferisco la maggior parte delle opere di Dick.

Inoltre mi ha colpito nella tua recensione quando hai detto che tutti si riempiono la bocca di questo libro, ma sono pochi in realtà ad averlo letto.

Penso sia verissimo. Molti si sono accorti di “1984” solo dopo il programma televisivo “Il Grande Fratello”.

Riguardo poi a “V for Vendetta”, l’eroe che arriva a liberare gli oppressi mi fa venire in mente anche Zorro, o tornando sempre più alle origini, Ulisse, nel libro ventesimo, travestito da mendicante che torna a Itaca per vendicarsi. Ma è chiaro che in ambiente fumettistico quello sia il primo riferimento che salta alla mente. In ambiente letterario qualche amico ha fatto altri paragoni più simili ai miei, così pure in ambiente cinematografico ce ne sono altri ancora.

 

Qual è la periodicità dei volumi?

 

Trimestrale, anche se ci sarà un lasso di tempo maggiore tra il primo e il secondo volume. Comunque il quarto e ultimo dovrebbe uscire a Lucca, nell’ottobre 2003.

 

Avete già avuto riscontri di vendite?

 

I riscontri sono stati positivi, sia Pasquale Ruggiero della Magic Press che l’editor Andrea Ciccarelli di Gruppo Saldatori, che coproduce anche, sono molto soddisfatti. Nei prossimi mesi verrà annunciata sui cataloghi la ristampa del primo volume.

 

Tiratura iniziale?

 

1500 copie.

 

All’interno de “La Dottrina” ho notato molti riferimenti al periodo futurista. A cosa è dovuta questa scelta, sicuramente coraggiosa, considerando che il Futurismo è spesso malvisto in certi ambienti intellettuali a causa della sua adesione al Fascismo?

 

Il problema del Futurismo è proprio la confusione che nasce dall’averlo troppo spesso considerato sinonimo di Fascismo.

In realtà quando il movimento entrò nel discorso fascista già perse la natura per cui era nato. Doveva essere un pugno in un occhio, ma finì col fare propaganda conformandosi, andando contro il manifesto stesso di Marinetti e diventando ancora peggio dell’arte precedente.

Quindi bisogna scindere gli intenti da ciò che poi effettivamente, solo nell’ultima parte della proprio percorso, è stato.

 

Cosa ti affascina del futurismo?

 

Mi colpisce la progettazione mirata a coinvolgere tutte le arti e che aveva delle finalità ben precise e costruttive, che nascevano dal distruttivo.

Era un movimento distruttivamente costruttivo.

E questa cosa mi affascina perché credo ci sia bisogno di una concezione futurista, sia nel fumetto che in altri campi.

Nella vita mi piacerebbe sperimentare in continuazione, impormi mire alte, fare le cose per colpire realmente.

Io sono invasato dal Futurismo. Prima di tutto è un movimento italianissimo che ha coinvolto tutto il mondo e forse l’unica comunanza di rilievo con il Fascismo è la concezione dell’Italia come centrale. L’autarchia.

Poi secondo me le poesie e i romanzi futuristi sono quanto di più alto abbia mai prodotto la letteratura italiana.

Ad esempio “L’incendiario” di Palazzeschi, che io cito all’inizio del secondo capitolo; è la storia di un poeta, che è Palazzeschi stesso, che va in una piazza dove hanno messo in gabbia uno che dà fuoco alle cose.

La poesia inizia con i commenti della gente, poi il poeta si fa largo tra la folla e comincia a guardare l’incendiario, dicendogli che ha attraversato tutto il mondo per venire a vederlo, per conoscere un uomo che ha il coraggio di distruggere le cose e nella potenza del fuoco le fa nascere nuove.

È una vivida metafora del Futurismo stesso!

Il poeta si vergogna davanti all’incendiario per non avere la sua stessa audacia e a un certo punto gli apre la gabbia e l’uomo, che tra l’altro indossa un lungo mantello e sembra proprio un supereroe, comincia a bruciare tutto e dice: “guardali, guardali come fuggono! Sono forsennati dall’orrore, la paura gli à tutti impazzati”.

Questa cosa la trovo stupenda, mi fa venire la pelle d’oca.

Poi c’è un altro scrittore che mi ha molto influenzato per scrivere “La Dottrina” e anche se le sue opere sono sempre tangenti a quelle futuriste senza intersecarle mai, comunque le sue radici affondano sicuramente in quelle concezioni.

Si tratta di Alberto Savinio, fratello di Giorgio de Chirico: pare che fosse lui il genio dietro molte idee del più celebre pittore.

L’opera che più mi ha colpito di Savinio è “Tragedia dell’infanzia”, pubblicata da Adelphi, che è il racconto della sua giovinezza soffocata dalle regole e dagli schemi dei suoi tempi che per tutta la vita ha poi cercato di evadere.

 

Un vostro inno al Futurismo c’è stato anche nel racconto breve di Giulio Maraviglia apparso su Lexy Presents #12…

 

In quel periodo con Carmine stavamo già preparando “La Dottrina” (ci abbiamo studiato due anni e mezzo, un anno per i fatti nostri e un anno e mezzo con la Magic Press e il Gruppo Saldatori) ed evidentemente pervasi dalle atmosfere futuriste, abbiamo realizzato quella storia breve.

In pratica si teorizza che il Futurismo non possa esistere in una società dove la scienza è più futurista dell’arte. Cioè nella società della Roma alternativa di Giulio Maraviglia.

Tutti gli artisti di quel movimento si trovano allora “disoccupati” e tra loro c’è il pittore Depero, che subisce un grave trauma e inizia a utilizzare i propri quadri per progettare dei giocattoli, aprendo addirittura un’industria.

Per sua sfortuna però anche la Fiat si mette a produrre giocattoli, facendo fallire Depero, che impazzisce e diventa un super-cattivo…

 

Torniamo a “La Dottrina”. Qual è il suo tema centrale?

 

Non mi interessava realizzare una storia politica per dire quanto una dittatura sia negativa, perché non credo debba arrivare Alessandro Bilotta per far capire certe cose. Né poteva interessarmi di meno la situazione politica contemporanea, italiana e mondiale.

Quello che a me preme è evidenziare la concezione mentale dell’essere indottrinati, ovvero il conformismo, l’omologazione dell’individuo, il fatto che tutti tendano ad adagiarsi su un sentire comune.

La cosa grave è proprio il sentire comune, l’opinione personale che si uniforma a quella della massa. Ecco il tema centrale.

La percezione della realtà viene falsata nel momento in cui nascono dei dogmi.

“La Dottrina” per me è una storia di persone, di quello che dicono, di come si comportano. Non so se questa cosa sia riuscita. Ciò che conta sono i personaggi.

Nel primo capitolo del secondo volume ci sarà infatti una storia d’amore; quello su cui stiamo cercando di puntare l’attenzione sono proprio i gesti quotidiani, come vive una persona in quella particolare situazione, lasciando il già visto fuori campo.

 

Si è vociferato di iniziative collaterali, legate alla televisione...

 

È stata tutta una manovra pubblicitaria gestita in maniera intelligente e geniale dal Gruppo Saldatori, che coproduce il volume con Magic Press e sta dietro al progetto grafico e di promozione de “La Dottrina”.

Loro hanno inventato un tipo di promozione, secondo me rispettosissima delle argomentazioni del fumetto, giocata sul falsare la realtà, denunciando il pericolo che qualcuno si comporti nella stessa maniera per corrompere la comunicazione.

Fumo di China” ha pubblicato che io ho preso 150.000 euro di compenso per la sceneggiatura!

Non ho mire politiche, però se le avessi quello sarebbe il primo passo della campagna elettorale. Forse hanno solo dimostrato come si fa a influenzare le opinioni pubbliche.

C’è stata inoltre una grossa propaganda anche sui newsgroup. Io non sono un grande esperto, comunque so che i newsgroup vivono di regole proprie, molto precise; i Saldatori le hanno violate una per una e ora hanno realizzato un lungo documento su tutto quello che ha comportato fare la campagna di manipolazione dei comunicati. Qualcosa che somiglia molto a un esperimento di sociologia.

In questo resoconto, che è lungo una cinquantina di pagine e verrà presto diffuso, fanno capire qual è stata la loro manovra, argomentando punto per punto con riferimenti fumettistici e letterari.

Questo meccanismo ha fatto incazzare moltissime persone, ma secondo me si è trattato di un ottimo esperimento promozionale. C’è chi pensa che il marketing sia inutile. Non sono d’accordo.

Dove il mercato non funziona si devono trovare nuove soluzioni. Una maggiore attenzione alla promozione dei prodotti può essere una di queste.

Ora non so quanto abbia influito nelle buone vendite il lavoro del Gruppo Saldatori, ma sicuramente un po’ di merito del successo è anche loro.

 

Quasi contemporaneamente a “La Dottrina” è uscito il terzo e ultimo volume de “Il dono nero”, serie in cui tratti in modo molto forte e personale il tema  del cristianesimo. Qual è il tuo  rapporto con la religione?

 

Sono cristiano, cattolico e apostolico. Negli ultimi anni ho vissuto un conflitto interno fra quelli che sono i valori cristiani e chi li amministra sulla terra. Conflitto difficile da risolvere e che traspare credo abbastanza esplicitamente nella storia che citi.

 

A cosa è dovuto il ritardo del terzo numero de “Il dono nero”?

 

Emiliano Mammucari, il disegnatore dei due numeri precedenti, non ha mai consegnato le pagine del terzo capitolo. Inizialmente la Montego ha dilazionato le date di consegna, poi in un secondo momento si è vista necessaria la ricerca di un altro disegnatore. Tutto questo naturalmente ha allungato i tempi.

 

Comunque la prova di Andrea Borgioli l’ho trovata davvero convincente. Il suo stile si adatta benissimo alle atmosfere della storia…

 

Sono d’accordo, ha uno stile molto particolare, sono contento che i disegni ti siano piaciuti. Con Andrea stiamo preparando qualche altra cosa assieme.

 

Già che ci siamo, quali sono i tuoi programmi futuri?

 

Non ti anticipo i progetti che non sono già in fase di realizzazione.

Parlando di cose concrete, sto ancora lavorando su “La Dottrina”, alle battute finali della sceneggiatura e alle iniziative parallele insieme al Gruppo Saldatori. Ad esempio ora sul sito internet (www.ladottrina.com), chi si iscrive alla newsletter godrà di alcuni vantaggi speciali.

Come prima cosa ci sarà un gioco che coinvolgerà il lettore in prima persona… non farmi aggiungere di più per il momento. Uno degli scopi dell’opera è far capire al lettore che egli stesso è parte attiva della trama.

In questo modo vogliamo far leggere con attenzione e apprezzare ancora di più il volume. Sono tutte iniziative che mi coinvolgono e nelle quali mi piace lasciarmi coinvolgere.

Sto lavorando poi al nuovo ciclo di avventure di Giulio Maraviglia. Si tratterà di una trilogia, con albi brossurati, a cadenza bimestrale e un numero di pagine superiore agli episodi precedenti.

L’idea è molto precisa: è una storia che va per aria, per mare e per terra.

Il primo capitolo, che uscirà verso la fine dell’anno, s’intitola: “Volo in pallone su Roma”.

 

A proposito di Roma, sia “Il dono nero” sia “Giulio Maraviglia” sono ambientati qui. Qual è il tuo rapporto con la città eterna?

 

Amore incondizionato.

E piacere di raccontare tutto quello che mi circonda.

È un bisogno che ancora non riesco a soddisfare: si dice che quando parli di una cosa te ne liberi e poi hai meno voglia di parlarne. Io invece non ci riesco e sento sempre più l’esigenza di raccontare Roma.

Mi affascinano tutti i lati e le prospettive di questa città, dal passato al presente, dai muri millenari fino ai personaggi che la popolano adesso, i quartieri, le storie con cui sono cresciuto.

Ho passato tanti anni della mia vita girando in macchina per le strade di questa città, per me è proprio una passione imprescindibile.

Ciò si lega soprattutto al fatto di voler raccontare cose vissute sulla propria pelle e non riesco a immaginare di scrivere esperienze molto sentite che non siano ambientate qui.

Certo mi è capitato di ambientare storie in altri luoghi, ma in quel caso il termine giusto è proprio “ambientare”. Non raccontare.

 

Quali sono stati i tuoi primi approcci con il fumetto, sia da lettore, sia da scrittore?

 

Come lettore il ricordo più bello che ho è una stanza in fondo al corridoio di casa di mia nonna, dove passavo i pomeriggi quando mia madre era al lavoro.

In questa stanza la sorella di mia nonna andava a liberarsi dei fumetti del figlio, non so se per mancanza di spazio o perché non li accettasse moralmente.

Fatto sta che i miei primi approcci sentimentali con le nuvole parlanti avvennero in quella stanza: là in mezzo c’erano L’Uomo Ragno della Corno, Batman, Topolino e quelle sono state le cose che mi hanno folgorato.

Leggevo solo i titoli, guardavo le figure – ancora non sapevo leggere bene – e fantasticavo sulle storie.

Mi ricordo soprattutto un episodio con protagonisti Ghost Rider e Il Punitores’intitolava “Panico al molo 13” e per farti capire quanto ero piccolo, chiesi a mia nonna cose volesse dire “panico”. Lei mi spiegava che era una paura irrazionale e io le dicevo “ma perché non hanno scritto paura?”

“Ma è peggio della paura.”

“E allora perché non hanno scritto ‘Paura terribile al molo 13?’”.

Sin da bambino ho sempre disegnato e ho iniziato a scrivermi e disegnarmi le storie, prendendo come riferimento Hugo Pratt.

Non credevo che testo e disegno fossero scindibili e mi veniva automatico fare tutto da solo. Poi andando avanti ho imparato a marcare la differenza tra le due cose, ho frequentato qualche scuola, sono stato dietro a qualche autore e man mano mi rendevo conto che non volevo fare entrambe le cose, che mi interessava di più la scrittura, che disegnare fumetti vuol dire raccontare delle sequenze ed è diverso dalla semplice illustrazione.

Ora quindi mi limito a qualche scarabocchio sui fogli a quadretti, come adesso, mentre parlo con te.

Le mie prime esperienze rilevanti, tolte le varie fanzine ciclostilate, sono state con la Montego. A me ed Emiliano Mammucari venne proposto di stare dietro a una casa editrice nascente e noi ci siamo messi di buona lena a lavorare su tutta una serie di progetti che portavamo avanti da tempo.

L’esordio è stato “Povero Pinocchio”.

 

Che tipo di sceneggiatore sei? Lasci spazio al disegnatore oppure i tuoi script sono ultradettagliati?

 

Sono molto dettagliati. In generale una sceneggiatura su carta mi viene lunga un numero di pagine che è il doppio di quelle della storia disegnata.

Per me è importantissima l’atmosfera e credo la si possa ricreare solo con molte indicazioni, ricercando e specificando bene le inquadrature.

Inoltre sono ossessionato dal ritmo. Il miglior complimento che qualcuno possa farmi è che la storia si è letta tutta d’un fiato. Cerco sempre dei ritmi che non rallentino la lettura e questo si lega molto alla scansione delle vignette, all’uso dei dialoghi e delle didascalie.

 

Fai storyboard?

 

Sì, ma solo per me, perché il disegnatore mi sembra che abbia quasi sempre un’idea migliore.

Al massimo, se devo far capire una posizione o un’espressione, preferisco fargliela vedere dal vivo.

 

Quali sono gli autori che più ti hanno influenzato?

 

In un primo momento di certo la cura per il dettaglio e la poesia di Sclavi, le trame avvincenti di Castelli e l’atmosfera e il ritmo di Berardi & Milazzo, secondo me l’alternativa fumettistica a Battisti & Mogol.

In un secondo momento direi gli scrittori anglosassoni che hanno un po’ rivoluzionato il fumetto a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta. Moore e Morrison soprattutto.

Oggi mi affascina imparare il ritmo del racconto da certo fumetto giapponese, Adachi e Taniguchi, e le tematiche di chi sceglie di dire le cose senza strillarle come i fratelli Hernandez, Abel, Seth, Tomine, Dupuy & Berberian.

Il mio punto di riferimento inarrivabile è e rimane in ogni periodo Peppe Ferrandino. Che secondo me è tutte le cose che ho citato messe insieme.

 

Cosa ne pensi delle mostre fumettistiche in Italia?

 

Mi sembra che il difetto maggiore che gli si possa tributare è che guardino poco al lato culturale del fumetto: o vengono organizzate da chi ne ha poco a che fare oppure si tende a sviluppare troppo l’aspetto mercatino.

Le più interessanti mi sembranoComic Strip” di Firenze e “Napoli Comicon”, la migliore in assoluto.

 

Le fiere romane?

 

Da quando Expocartoon ha cambiato sede non ci sono mai andato. Ed è la prima volta che non visito una fiera di fumetti della mia città.

Romics mi sembra in crescita, però ha ancora molta strada da fare.

 

Sono d’accordissimo. Nelle ultime edizioni di Expocartoon ti sei perso davvero poco. Qual è la tua giornata tipo?

 

La mia giornata ingrana lentamente: mi alzo verso metà mattinata e di solito fino a ora di pranzo combino poco. Inizio a concretizzare nel pomeriggio, proseguo fino a cena e qualche volta vado pure oltre.

Credo che la costanza sia fondamentale; è necessario avere un metodo per mantenere continuità e qualità più o meno agli stessi livelli.

 

Vantaggi e svantaggi di essere un fumettista…

 

Niente orari e, volenti o nolenti, si porta sempre il lavoro a casa. A seconda di come li giri sono vantaggi o svantaggi.

 

Quali sono i disegnatori con cui vorresti lavorare? Puoi puntare in alto se vuoi!

 

Oddìo, che domanda…ci posso pensare un po’?

Spegni il registratore sennò si spreca troppo nastro.

[Dopo molti ripensamenti…]

Diciamo che lavorerei senza pensarci due volte in qualunque progetto mi coinvolgesse, o fosse coinvolto Carmine di Giandomenico.

Per non scontentare i viventi, il sogno della mia vita sarebbe stato scrivere qualcosa per i disegni di Dino Buzzati. Ho puntato abbastanza in alto?

 

Tavola in ateprima da "L’ultima battaglia del capitano Lozère"Direi di sì! Programmi futuri della Montego?

 

Li abbiamo presentati nella scorsa Comicon di Napoli.

Molti di questi partono dalla creazione del progetto NOVA insieme a Black Velvet e saldaPress (su cui trovate informazioni all’indirizzo www.saldapress.grupposaldatori.com/nova2.htm). Verranno a breve realizzati una serie di eBook gratuiti, scaricabili dai siti internet delle tre case editrici. Comprendono lavori di professionisti e nuovi talenti, tra cui il sottoscritto, Carmine di Giandomenico, Andrea Borgioli e una storia di Altai & Jonson di Sclavi e Cavazzano. Un eBook a cui tengo particolarmente è quello di Mauro Uzzeo e Marco Marini. Il racconto è uno di quelli contenuti nel volume che li ha tenuti al lavoro tutti questi anni dopo Velo di Maya: “Almeno un minuto insieme”. È un’opera meravigliosa che uscirà presto per Montego, ma stiamo cercando un accordo con i distributori che permetta di promuoverla al meglio. Nel frattempo c’è una bellissima anteprima che gli rende giustizia all’indirizzo: www.montego.it/almeno.htm . Questo per quello che riguarda Montego. Per gli eBook di Black Velvet ci saranno autori del calibro di Massimo Semerano, Otto Gabos e i fratelli Mattioli, mentre saldaPress offrirà opere di Michele Petrucci, che non ha bisogno di presentazioni, di Giacomo Nanni, di cui si è già visto qualcosa su Black, e di esordienti di altissimo livello come Stefano Landini, Davide Ragona, Davide Saraceno, Mauro Padovani (grande Mauro!, NdMaT) e Simone Mazzieri.

Finora il progetto NOVA si è concretizzato con l’organizzazione comune delle fiere di Lucca e Napoli. Per la seconda ha realizzato un catalogo che è stato distribuito gratuitamente nel corso della manifestazione. Il prossimo appuntamento è per Lucca in cui Black Velvet, Montego e saldaPress concretizzeranno il loro progetto di collaborazione NOVA in una rivista di informazione e approfondimento sul catalogo delle tre case, ma non solo. In questo ambito dovrebbe anche leggersi un breve racconto inedito di Giulio Maraviglia che fa da antipasto alla nuova serie in arrivo.

I progetti Montego proseguono con i volumi di Altai & Jonson, altri quattro che concludono la serie di sette.

Di Giulio Maraviglia ne abbiamo già parlato ampiamente.

Per Lucca poi è in arrivo un nuovo, importante volume unico scritto da Tito Faraci e disegnato da Pasquale Frisenda, “L’ultima battaglia del capitano Lozère” (vedete quì a lato le immagini in anteprima, NdDaN). La storia di una truppa napoleonica persa nelle nevi della Siberia durante la Campagna di Russia. Con un destino tragico ad attenderli venato di mistero e orrore. Gli autori non hanno davvero bisogno di presentazioni, il più rivoluzionario sceneggiatore degli ultimi anni e un disegnatore colto e ricercato che per la prima nella propria carriera realizza un lavoro dipinto.

Questo è tutto quello che succederà da qui a Lucca.

 

Ho letto che scrivi anche sceneggiature cinematografiche…

 

Sì, ho lavorato con due semi-produzioni cinematografiche: la Koa Films Entertainment di Ovidio Assonitis (un famigerato produttore e regista a cui si devono molti horror-trash, tra cui “Tentacoli”) per cui ho fatto alcuni trattamenti di script, e la Film Martese, con cui ho collaborato a una pellicola ambientata in Abruzzo durante la Resistenza.

Sceneggiare per il cinema ha uno scopo più pratico che letterario. Nel fumetto lo sceneggiatore ha più controllo, mentre lì ci mettono la bocca tante persone che alla fine è molto più difficile sentire il prodotto come proprio.

Comunque è un’esperienza che insegna a lavorare con gli altri.

 

Studio in ateprima da "L’ultima battaglia del capitano Lozère"Parliamo del Bilotta lettore.

 

È difficile, diciamo che leggo un po’ di tutto. Amo molto l’universo Disney e mi piacciono alcune sperimentazioni editoriali che ultimamente provengono da quel settore. Restando in Italia, seguo fedelmente Magico Vento che mi ricorda sempre più il miglior Ken Parker. I personaggi si evolvono lentamente e ogni storia che vivono sembra che segni una tacca sulla loro anima. In poche parole sembrano vivi. Anche i festeggiamenti legati ai quarant’anni di Diabolik mi hanno convinto molto. Prima il remake del numero uno di Castelli e Palumbo e poi il recente “Diabolik visto da lontano” con alcuni tra i più grandi autori del fumetto italiano.

Seguo molto il mercato americano. La linea Vertigo della DC, ma soprattutto qualunque cosa pubblichino Drawn & Quarterly e Fantagraphics.La Perdida” di Jessica Abel e “Palooka-Ville” di Seth per citare due opere non ancora tradotte in Italia. Ma “Hicksville” di Dylan Horrocks è decisamente la cosa che più mi è piaciuta ultimamente.

Mi hanno colpito molto anche alcune cose di Grant Morrison che ho avuto modo di leggere in Italia perché tradotte recentemente da Magic Press, soprattutto “Flex Mentallo”.

Dei francesi mi piacciono molto Trondheim, Dupuy & Berberian, Sfar, Baru, “Isaac il pirata” di Blain e sono sicuro che ne dimentico qualcuno. “Amours fragiles” di Richelle e Beuriot e “Léon La Came” di Chomet e De Crécy per citare due cose che ho scoperto recentissimamente.

Mi piace il modo di raccontare dei fumetti giapponesi, abbiamo tantissimo da imparare da loro per quanto riguarda scansione della tavola e capacità di interpretazione. Amo i classici come Go Nagai, Tezuka e Otomo, il minimalismo di Adachi e di Taniguchi, i disegni di Ikegami. “La storia dei tre Adolf” di Tezuka e “Gen di Hiroshima” di Nakazawa.

Ogni tanto ripubblicano qualcosa di Trillo che continuerò a comprare finché non scopro qualcosa di brutto che ha scritto. A Napoli Comicon ho preso con molto piacere una cosa che non conoscevo, “Light & Bold” su disegni di Bernet per le Edizioni Di.

 

Cosa consiglieresti ad un giovane che vuole intraprendere la carriera di fumettista? E non rispondere che farebbe meglio a cambiare mestiere!

 

Ammesso che io sia nella condizione di dare dei suggerimenti, gli direi di non ascoltare chi dice di conoscere come funziona l’ambiente dei fumetti. Provare a fare quello che vuole prima di lasciarsi influenzare da quello che il comune pensare ritiene opportuno debba essere fatto.

 

(4/4/2003)

 

   

 

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