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Emiliano Mammucari

a cura di Stefano Perullo

 

Il nostro viaggio alla scoperta di JOHN DOE - il nuovo mensile completamente Made in Italy che l'Eura si appresta a varare nelle edicole nostrane a partire dalla prima metà del prossimo mese di Giugno; NdStefano - questa settimana ci conduce alla scoperta di un giovane e validissimo disegnatore: Emiliano Mammuccari. Ciao Emiliano e benvenuto nel nostro salottino virtuale. Che ne diresti di parlarci un po' di te?

Mi chiamo Emiliano Mammucari, con una c sola. Sono dei Castelli Romani, vicino Roma. Faccio vita regolare, adesso. Alle 9 sono a studio, il tempo di fare un giro su internet e sono al lavoro. Tutti i giorni, compresi i sabati e le domeniche.

Come sei approdato al mondo dei fumetti, sei autodidatta oppure hai seguito degli studi, magari in una delle tante scuole di fumetti disseminate nella nostra penisola?

Ho frequentato la scuola romana dei fumetti, ma ero ragazzino. Nel '99 ho iniziato a lavorare in Comic Art. Facevo un po' di tutto, dall'ufficio stampa di Expocartoon alla cura di albi francesi, ai Cd rom multimediali. E' stata un'esperienza molto formativa, sia dal punto di vista editoriale che personale. Anche il fatto di aver lavorato con Traini per me è stato importante. Molti hanno avuto con lui un rapporto, diciamo, burrascoso. Me compreso. Era una litigata continua... ma io vado d'accordo con i personaggi picareschi, gli incoerenti, i gaglioffi che però lavorano sodo. Mi piacciono le entrate in scena à la Burlesque e le uscite da Scaramouche. E credo che Traini sia un po' così. E poi io ero un giovane e inesperto ventenne, lui era stato l'editore dei miei Miti di carta: Pratt, Micheluzzi, Bonvi, Toppi. Persone di grande spessore umano, maestri di disciplina, prima che di segno.

Nel Maggio del 1999 hai fondato, insieme ad un nugolo di altri giovani (aspiranti) professionisti, la Montego. Quali erano i vostri propositi originari?

Per quanto mi riguarda gli stessi propositi che mi fanno muovere ancora adesso. Detesto gli atteggiamenti "da fan" quando si fa editoria. Detesto le cose fatte male "tanto non se ne accorge nessuno". E detesto la mancanza di professionalità tipica dell'editoria a fumetti italiana. Ho visto le fanzine giapponesi, e sono rimasto sconvolto per la fantasia e la professionalità. Stampe a 5 colori, risguardi, copertine stampate a sbalzo su carta da pacchi, trasparenze. Negli Usa l'editoria indipendente ha raggiunto livelli di grande spessore. Non parlo solo di Bone e di Rubber Blanket, ma anche dei prodotti meno fortunati, commercialmente parlando. Qui in Italia anche gli editori più grandi stampano molto male, spesso con una impostazione grafica brutta, figuriamoci i piccoli. Ma è un cane che si morde la coda, credo. Più il mercato perde colpi, più c'è difficoltà a far crescere maestranze nuove. Non c'è rinnovo generazionale, e si spegne il meccanismo. L'autoproduzione italiana in quel momento era cresciuta molto, rispetto agli anni precedenti. Vedi la Factory: era tutto stampato bene, e alcune cose erano molto buone. C'era comunque un'idea di percorso editoriale riconoscibile, e in Italia non è poco. L'idea di partenza era quella di fare le cose con il massimo della professionalità che ci era possibile. E soprattutto raccontare storie, possibilmente italiane. E' inutile scimmiottare gli altri... come disse Fellini in un'intervista, a proposito dei suoi Oscar: "Se non sai essere provinciale, non saprai mai essere internazionale". Abbiamo trovato un editore, Pasquale Bilotta, e siamo partiti. Ma non c'era unità di intenti e le strade si sono divise. Sono cose che succedono, penso faccia parte dell'ordine delle cose.

A quasi quattro anni di distanza cosa resta dei vostri propositi, la Montego è ancora viva?

Non ne ho idea. Ho interrotto la collaborazione dopo un anno, come quasi tutti gli altri.

Il tuo primo lavoro è stato, in tempi assolutamente non sospetti, "Povero Pinocchio - storia di un bambino di legno". Come mai avete avvertito l'esigenza di raccontare la storia del più classico dei burattini di legno?

Sono sempre stato un appassionato della parte "maleducata" di Pinocchio. Collodi in realtà era un bacchettone, il suo intento era scrivere un altro romanzo didascalico - pedagogico. E invece gli è uscito il contrario: Pinocchio secondo me è un inno al non seguire le regole, al non accettare dogmi e meccanismi preconfezionati, anche a costo di farsi male. Volevamo come prima uscita una specie di manifesto programmatico: italiano, ribelle, ci è uscito Pinocchio. Era, perché no, anche un po' paraculo, una cosa che fosse in grado di uscire dal mondo piccolo piccolo delle fumetterie e degli aficionados. Difatti i distributori non lo volevano, perché era "fuori canone" come impostazione. Nelle fiere ha stravenduto.

Dopo l'insuccesso (non dal punto di vista dei botteghini - NdStefano) del Pinocchio di Roberto Benigni e le non proprio favorevolissime critiche mosse allo spettacolo teatrale prodotto, un paio d'anni fa (dunque più o meno in contemporanea con il vostro Pinocchio), da Teatri Uniti, credi che il pubblico sia ancora interessato alle avventure del Burattino creato dalla fantasia di Collodi?

Riproposto come ha fatto Benigni, secondo me no. Pinocchio è un archetipo, ormai. Fa parte dell'immaginario collettivo. Ci puoi fare ciò che vuoi, tranne ricontestualizzarlo nel suo romanzo.

Dopo aver pubblicato Pinocchio, hai iniziato a lavorare (ancora in coppia con Alessandro Bilotta) alla miniserie "Il dono Nero". Una miniserie molto ambiziosa che vi ha procurato molti riconoscimenti da parte della critica (tra i quali un paio di premi Fumo di China). Che differenze hai riscontrato nel realizzare un horror metropolitano rispetto alla precedente esperienza favolistica?

Non lo sapevo che ha avuto riconoscimenti di critica. Ci ho lavorato con un brutto stato d'animo, non vedevo l'ora che finisse. Ma credo sia uscito comunque un buon lavoro, considerando il mio (modesto) bagaglio tecnico di allora (non è che adesso sia 'sto granché, ma insomma...). Qualche pagina è buona. Per rispondere alla tua domanda, la difficoltà maggiore è stata l'ambientazione: New York ci è familiare, graficamente parlando, Roma no. Le pagine più belle sono rimaste inedite, purtroppo.

Come sei approdato al progetto JOHN DOE?

Mi ha telefonato Lorenzo Bartoli per fare una partita di calcetto e una serie da edicola. Ero titubante, avevo dei lavori aperti e stavo iniziando una cosa importante. Pensavo fosse la solita serie. Poi mi ha raccontato la storia... ho congelato tutto e sono corso a fare John Doe.

In una recente intervista Rrobe ha dichiarato che tu sarai il disegnatore del primo numero di JD. Un compito enormemente gratificante ma, credo, anche molto rischioso. Come vivi questa grande responsabilità?

Mi sto divertendo tantissimo, anche se i ritmi sono davvero massacranti. Mi sono trovato subito bene con gli aspetti "atipici" della serie. Sarà che il plot è molto forte, quindi fai le cose con più facilità e sicurezza. E poi con gli sceneggiatori ho trovato subito grande sintonia, mi sono sentito subito "di casa". Mi fanno intervenire sulle scelte di regia come io sulle scelte di disegno. Si discute sulle cose e viene tutto più fluido. Più stimolante, ed è una novità per me.

Non so quali assurde minacce vi avrà fatto Rrobe … tutti i collaboratori dello staff di JD hanno le bocche cucite e non mi riesce di estorcergli una sola indiscrezione … ma il dovere di cronaca mi impone di chiederti: Chi è John Doe?

Faccio uno strappo alla regola e ti rispondo (spero che non mi appendano per i pollici): John è un tipo maniaco della precisione. Ama i particolari. Gli piace che le cose vengano fatte a modo suo. E cioè con stile. Non mente mai, e quando mente te lo dice MENTRE sta mentendo, e col sorriso. Per questo la gente si fida di lui. Se hai bisogno di qualcosa, puoi rivolgerti a lui, sa sempre come risolvere le cose... il problema è che ha buona memoria, e si ricorda tutti i favori che ha fatto. Sono stato esauriente, no?

Ci puoi svelare qualche retroscena dell'avventura che stai curando? Un accenno di trama? L'ambientazione? Il titolo?

Ora pretendi troppo :-)

Dalle poche indiscrezioni sin ora trapelate JD sarà ambientato negli USA. A quali fonti attingi per documentarti su una ambientazione che non è propriamente quella quotidiana in cui vivi?

Non è l'unica ambientazione. Comunque mi documento moltissimo, anche se non so se si veda. Cinema, in primis, poi foto. Fumetti ne guardo pochi.

Come procedi alla realizzazione di una tavola? Hai un approccio classico, del tipo passi dagli schizzi alle matite ecc, oppure hai un approccio più personale?

Faccio i layout, li ingrandisco e li riporto su cartoncino. Poi inchiostro. Ho cambiato segno, mi diverte cambiare ogni fumetto che faccio.

Hai un tratto molto "sporco", che tecnica usi per inchiostrare i tuoi disegni?

Per John Doe sono molto più pulito, lo richiede il realismo della serie, e la tradizione Eura, che predilige un segno più chiaro. Comunque Pennarelli e Pennelli su carta Fabriano 50% cotone. Inchiostro con l'ecoline nera, anziché con la china, perché è già diluita e perché ci sono abituato.

Quali autori consideri alla stregua di numi tutelari … insomma chi sono le tue fonti di ispirazione?

In genere quelli che hanno sotto una matita molto documentata e sopra un'inchiostrazione fresca: Toth e Micheluzzi, Font e Bernet, Milazzo, Mazzucchelli. Più tanti altri, naturalmente. Moebius, anche se magari non si vede.

Che differenza (a parte l'uso del colore) c'è tra il disegnare una tavola di Pinocchio, una del Dono Nero ed una di John Doe?

La differenza è che prima nascondevo l'inesperienza con il segno. Adesso sto tentando di mettere un disegno vero, plausibile e credibile sotto al segno. E' una cosa (per me) più difficile di quanto non si creda, ho scoperto che non è affatto semplice fare fumetto realistico.

Quanto tempo impieghi per disegnare una tavola?

Adesso un giorno e mezzo, ma vorrei metterci più tempo, curare di più il tutto.

Qual è il tuo metodo di lavoro? E, se ne hai una, come è strutturata la tua giornata lavorativa tipica?

Dalle 9 di mattina alle 8 di sera tutti i giorni, compresi i week end. Dopo la consegna mensile mi prendo i giorni di riposo che ho perso.

Che consiglio daresti ad un giovane disegnatore che desidera intraprendere la carriera professionistica?

Di prepararsi, ed evitare di fare il millesimo clone di qualcun altro. Conoscere Tutti i disegnatori, tutti gli stili, tutte le case editrici e le produzioni. Cercare di guardare disegnatori che sanno disegnare sul serio, che hanno anni di esperienza, ed evitare di scopiazzare l'ultimo shojo manga uscito, o l'ultimo supereroe. Guardare tanto la pittura, il cinema, leggere molto. E capire i meccanismi di narrazione, che sono più importanti del disegno.

Perché dobbiamo leggere JOHN DOE numero uno?

Perché sono anni che manca in Italia una serie così vivace e fresca.

Per me è tutto. Vuoi aggiungere qualcosa?

no :-)

Grazie e in bocca al lupo!

Crepi il lupo!

(1/4/2003)

 

   

 

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