Maxi Dylan Dog #5

di Daniele D’Aquino

 

(c) Sergio Bonelli EditoreQuinto volume del Maxi Dylan Dog, che di maxi purtroppo ha solo il numero di pagine. Le tre storie qui raccolte infatti, oltre ad essere accomunate dai disegni di Montanari e Grassani (gli unici che si salvano), condividono anche dei testi non proprio esaltanti, in cui non si va oltre al semplice mestiere.

La cosa che preoccupa di più è la schematicità delle trame, che spesso va ad inficiare gli aspetti positivi delle storie, rischiando inoltre di annoiare il lettore.

In tutti e tre gli episodi (come in molti della serie regolare) si ripete lo stesso intreccio: omicidio su cui Dylan indaga-durante le indagini l’assassino torna a colpire più volte-Dylan risolve il caso più o meno discutibilmente-scontro finale tra Dylan e il cattivo di turno, con tanto di confessione di quest’ultimo.

E’ troppo chiedere dei plot più originali?

Passando ai singoli episodi di quest’albo, il primo, “La voce del diavolo”, scritto da Tito Faraci, non aggiunge un granché al filone dei serial-killer, ma si fa leggere abbastanza piacevolmente.

Senza infamia e senza lode anche la storia successiva, firmata Ruju, “All’ombra del destino”, che ruota attorno ad una leggenda su un parco londinese. Qualche spunto interessante ma nulla di più.

Nel terzo episodio, “Le mani assassine”, scritto da Stefano Santarelli, si raggiunge il fondo. Solitamente mi aspetto molto da un autore che è alla sua prima prova con un personaggio, e mi aspetto ancora di più se l’autore in questione non è certo un esordiente, visto che Santarelli da anni è uno sceneggiatore di Martin Mystère.

Ebbene tutte le attese sono crollate.

La storia presenta situazioni trite e ritrite, personaggi che sono poco più che macchiette e come se non bastasse si capisce chi è l’assassino dopo appena 10 tavole.

Meno male che ci sono Montanari&Grassani a tirarci un po’ su!

Sono lontani i tempi in cui i detrattori rimproveravano al prolifico duo un disegno piatto e legnoso. Il loro tratto è migliorato negli anni, diventando sempre più pulito, godibile e particolareggiato.

Ogni volta poi che vedo il loro inconfondibile stile, quelle ombre inquietanti che si allungano su strade e pareti, quell’interpretazione di Dylan così archetipica, viaggio a ritroso nel tempo e mi vengono in mente albi storici come “Le notti della luna piena”, “La zona del crepuscolo” e “I segreti di Ramblyn”. Nostalgia canaglia.

E a proposito di quella doppia avventura, ricordo ancora la geniale battuta di Groucho, quando un personaggio dice: “Mica siamo ignoranti solo perché siamo montanari…” e lui: “…e Grassani. Questa non l’ho capita neanch’io, ma mi è venuta così.”

(5/07/2002)

 

   

 

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