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Stefano Raffaele interview english automatic translation

 

Stefano Raffaele

di Stefano Perullo

 

Tavola da Blackburne Covenant (c) Stefano RaffaeleTerminate le tanto attese, e mai sufficienti, vacanze estive tentiamo di consolarci con la riapertura del salottino virtuale di AmazingComincs.it che, per l'occasione, ospita un autore italiano che da un po' di tempo sembra aver abbandonato le luci della ribalta ma che, grazie ad una imminente serie di iniziative, si appresta a ritornare prepotentemente sotto i riflettori. Ciao Stefano e benvenuto su AC.it, nel darti il benvenuto ti invito a parlarci un po' di te, svelandoci vizi e virtù, i tuoi hobby e le tue inconfessabili passioni. Insomma, che ne diresti di presentarti ai nostri lettori?

 

Ciao, Stefano! Presentarmi... diciamo che ho 33 anni e lavoro nei comics dal 1994. Vizi ne ho tanti, virtù qualcuna, ma non credo stia a me parlarne (delle virtù almeno!). Sono un timido cronico, ma allo stesso tempo uno che se ne sbatte allegramente dei giudizi delle persone (sì, quest'ultima la reputo una virtù). Sono pure un gran testardo. Il vizio più "malsano" è il fumo, che coccolo con 2 pacchetti di Philip Morris al giorno, talvolta 3. Ma il progetto è di smettere di fumare, ed è un progetto impegnativo, perché lo sto portando avanti da 15 anni, ormai! Altri vizi... beh, potrei unirli alle inconfessabili passioni, e quindi mica posso parlarne, ti pare? Potrei scrivere fiumi di parole, su questa domanda!. Hobby: musica, cinema, videogiochi. Ultimamente sto impazzendo con Star Wars Galaxies online, ed ho appena terminato un run di 7 anni su Ultima Online. Mi rilassa moltissimo giocare in rete, e mi entusiasma l'idea di incontrare persone da tutto il mondo, sebbene sia un incontro limitato dalla barriera monitor/tastiera. Cosa posso aggiungere... mi piace guidare da solo, a notte fonda. E' il momento migliore per pensare. A volte mi ritrovo lontano da casa, senza accorgermene, dopo aver percorso un notevole numero di chilometri. Trovo bellissima le sensazione della strada che corre sotto la macchina, quando c'é pochissima gente in giro, e la notte ti avvolge come se ci fossi solo tu, per lei. Un tempo lavoravo fino a mezzanotte, e poi stavo fuori fino all'alba. Tutti i giorni. Uscivo con un paio di amici, "vampiri" come me, e alle 6 del mattino eravamo soliti sederci in un parcheggio di Sesto San Giovanni (vicino a Milano) a berci una Becks, guardare la città che si risvegliava, e parlare... parlare un sacco. Adesso faccio una vita diversa (più sana, direbbero alcuni. Ho messo la testa a posto, direbbero altri. Più semplicemente... non ho il fisico di qualche anno fa!!!). Le uscite notturne ci sono ancora, ma sono più rade.

 

Accipicchia! Detta così mi fai tornare in mente il ritornello di "Certe Notti", non è che conosci Ligabue? E' uno dei tuoi compari notturni? Ehm … Scherzi a parte a questo punto mi interesserebbe chiederti una opinione che esula dal contesto dei fumetti. Sei evidentemente e per tua stessa ammissione un tabagista incallito, che detta così sembra una vera e propria malattia. Cosa pensi delle nuove norme per scoraggiare il fumo e, in particolare, cosa pensi delle nuove scritte "mortuarie" che capeggiano sui pacchetti di sigarette?

 

No, non è una malattia, è dipendenza. Il fumo è una droga, inutile girarci attorno. Uccide milioni di persone, ed è legalizzata. Cosa penso delle nuove scritte "mortuarie"? Ah. Che sono ridicole. E molto irritanti, ma non per il messaggio in sé (leggere "IL FUMO UCCIDE" scritto a caratteri giganti, non mi tocca. So benissimo i rischi che corrono i miei polmoni, continuando a fumare), ma per l'ipocrisia dell'azione. Finché continuano a venderle, e a guadagnarci sopra miliardi, che non rompano i coglioni. Un conto è scrivere "nuoce gravemente alla salute", com'era scritto nei vecchi box di sigarette, un conto è scrivere frasi idiote tipo l'ultima che ho letto sul pacchetto: "il tuo medico o il tuo farmacista possono aiutarti a smettere di fumare". Certo. Grazie tante, me li regalano loro, i farmaci? Il fumo è una droga. Il fumo uccide. Che smettano di venderlo. Non possono o non vogliono farlo? Bene. Vedi quanto scritto sopra: che non rompano i coglioni. In questi giorni leggo pure che il "caro" Fini vuole punire l'uso delle droghe, e non solo lo spaccio. Eh, certo, sicuramente fa più male una canna della dipendenza da nicotina, vero? Santo cielo... quindi tra poco puniranno l'uso di stupefacenti leggeri, ma le sigarette continueranno ad essere vendute. Non ho molto altro da aggiungere, credo, se non un' ultima puntualizzazione: chi non fuma va protetto. Sono perfettamente d'accordo sul proibire il fumo nei locali pubblici, e sul dividere i locali in due aree, fumatori e non. Sta poi al frequentatore decidere in quale sala andare.

 

Tavola in anteprima mondiale da Hawkeye #1 (c) MarvelTorno ai fumetti. Parliamo delle tue origini, professionalmente hai esordito nel mondo del fumetto nel 1994, e lo hai fatto subito con un incarico incredibilmente impegnativo: le tavole per un intero albo di Lazarus Ledd (LL 4 - Axis). Un incarico di certo molto gravoso per un debuttante assoluto, con che spirito affrontasti un'attività così impegnativa?

 

Avevo una paura maledetta, e di conseguenza torturavo Ade Capone con lunghe e numerose telefonate, per discutere con lui di qualsiasi inquadratura temessi di non saper affrontare (ed erano tante!). Ade è stato il mio più grande sostenitore. Diceva che potevo diventare un disegnatore in gamba, anche quando lo chiamavo dicendomi convinto di appendere la matita al chiodo. Un'altra persona, al suo posto, credo mi avrebbe mandato al diavolo! Specialmente dopo, quando mollai il Potere e la Gloria per trovare lavoro negli USA, lasciando una miniserie incompleta alle mie spalle. E' facile dire che non lo rifarei, ma a quei tempi avevo solo il sogno di lavorare per gli Stati Uniti, in testa.

 

Sei autodidatta oppure hai studiato l'arte del disegno in qualche scuola di fumetto?

 

Ho frequentato la Scuola del Fumetto di Milano, in via Savona. 3 anni di corso pomeridiano che mi hanno aiutato ad affinare alcune tecniche, dal ripasso a china alla costruzione anatomica dei personaggi, oltre allo studio della sceneggiatura e del colore. E' una scuola che consiglierei a tutti. Insegnamento a parte (comunque molto, molto valido), è molto bello stare a contatto con appassionati e professionisti, dai quali si può imparare molto. Oltre alla Scuola del Fumetto, ho sempre avuto sotto mano la vastissima "fumettoteca" di mio padre, grande appassionato di fumetti. Dagli eroi americani ai fumetti francesi. Tengo con grande cura i suoi primi disegni (avrebbe voluto fare il fumettista). Credo che la passione per questo lavoro sia stato lui, a trasmettermela.

 

Forse la mia memoria non mi aiuta … ma non si diceva di te che avevi frequentato anche la prestigiosa accademia di Joe Kubert?

 

Io ho sempre detto di aver fatto un breve stage (ero stato in USA per due mesi e mezzo), altri hanno scritto che avevo frequentato l'intero corso (mai fatto, ma sopratutto mai detto!). Gli insegnanti della scuola volevano assolutamente che io restassi (è molto difficile entrare alla Kubert), ma la scuola per me era troppo cara (11000 dollari all'anno, alloggio compreso, ma senza vitto... ed era il 1993!). Mi è costato, rinunciarci, ma alla fine è stato meglio così. Certo è che ogni volta che rileggo tutti i documenti che mi hanno lasciato (compresa la tanto desiderata accettazione al corso triennale) mi si forma sempre un piccolo groppino in gola... forse perché penso a come sarebbe stata diversa la mia vita da "americano". Beh, guardando gli ultimi accadimenti storici, dovrei essere ben felice della mia cittadinanza Italiana. Ma poi, guardando quel cretino di Berlusconi, direi proprio di no. Insomma... Bush o Berlusconi... siamo proprio messi male comunque!

 

La tua prima prova su Lazarus Ledd fu annunciata con grande entusiasmo dallo staff della Star Comics, che nel parlare di te ti attribuì una etichetta molto pesante; qualcuno ti definì, infatti, il "Jim Lee italiano". Come ti relazioni con l'abitudine tutta italiana di attribuire etichette e, in particolare, come ti sentisti, da esordiente, nell'essere paragonato al disegnatore all'epoca più in voga nel Comicdom d'oltreoceano?

 

Non ho molto da dire, a riguardo. Quell'etichetta, naturalmente, la sentivo pesante, ma di certo non come qualcosa "da portare" o, peggio ancora, "da difendere". Io non mi sentivo certo il Jim Lee italiano. Prima di tutto ero un "clone", e in secondo luogo c'era un abisso, tra la sua qualità e la mia. Io ero appena agli inizi, per di più. Certo è che se io non avevo preso seriamente quell'etichetta, altri lo avevano fatto. Pensavano tutti che io me la "tirassi", che mi credessi chissà chi, e puntualmente, quando facevano la mia conoscenza, la frase di rito era "ehi, non credevo fossi così! Ti immaginavo bla e blabla". In poche parole, credo di averla pagata e, in Italia, ancora lo sto facendo.

 

Tavola in anteprima mondiale da Hawkeye #2 (c) MarvelC'è da dire che in effetti il tuo stile in origine richiamava fortemente, quasi al limite del plagio, quello di Jim Lee; da cosa scaturiva una scelta stilistica così fortemente influenzata da un altro autore?

 

Non c'é un motivo preciso. Voglio dire, non è che pensavo "voglio copiare Jim Lee perché X e perché Y". Era il mio autore preferito, ma non è certo tutto qui. Non so, credo che lo stile di disegno rifletta in qualche modo il nostro stile di vita. Io ero una persona molto insicura, dieci anni fa. Anche volendo, non sarei mai riuscito ad avere uno stile personale. Il perché... beh, è complesso, difficile da sintetizzare. Io ho sempre amato il disegno, ed ho sempre avuto ben chiara l'idea di diventare un disegnatore di fumetti. Però in quel periodo storico la pressione più grossa sulla mia vita era data dalle mie insicurezze. Per dirla banalmente (ma non lo é affatto), non riuscivo a vivere. C'erano alcuni accadimenti personali che mi pesavano molto, che non riuscivo a risolvere, e tutte le mie energie erano focalizzate lì. Il disegno veniva in secondo piano. Quando ho avuto l'ingaggio su Lazarus sono stato pompato moltissimo dalla casa editrice, e questo mi ha inserito subito in un meccanismo di produzione lavorativa al quale non riuscivo a stare dietro. Non che avessi poco tempo per disegnare, perché di tempo ne avevo, ma semplicemente non era sul tavolo da disegno che volevo sfruttarlo. La mia testa era altrove, ma allo stesso tempo volevo produrre. Da qui la copia. Era una scorciatoia per lavorare più velocemente, ma anche una scuola.

 

Come avveniva la "copia"? Copiavi pedissequamente le tavole di Lee oppure ne leggevi i fumetti e cercavi di carpirne l'atmosfera?

 

Beh, è ovvio che cercavo di carpirne l'atmosfera, ma allo stesso tempo la copia era, appunto, da "clone". Studiavo le espressioni, i visi, la potenza del tratto (magiche le chine di Williams). E questo atteggiamento era talmente forte che ancora adesso faccio fatica a non cadere nelle stesse trappole. Potrei dire che solo Fragile è allo stato attuale il mio lavoro più "puro", insieme ad Occhio di Falco. Su Fragile (ormai alla fine del secondo libro) e su Hawkeye cerco di non aprire più un fumetto disegnato dai miei autori preferiti, perché so già che se l'occhio mi cade su un disegno che in qualche modo cade a pennello per una vignetta che sto facendo, allora sarà difficile non tenermelo lì a fianco mentre disegno. Diciamo che la mia svolta decisiva, in stile "autentico", è avvenuta di recente, in questo 2003, con Fragile prima ed Hawkeye poi.

 

Dopo un solo albo di Lazarus Ledd ed una manciata di copertine hai lasciato la testata intitolata alla creatura di Ade Capone e, dopo un breve intervallo in cui hai realizzato alcuni numeri de "il potere e la gloria", hai iniziato a lavorare direttamente per il mercato statunitense realizzando una serie di albi per la Valiant. Come avvenne il tuo passaggio negli USA?

 

Molto semplicemente, ho fatto alcune tavole di prova e ho preso appuntamento con diversi editori a New York. La parte più difficile fu riuscire a farmi vedere alla Marvel! Chiamavo il centralino, e non c'era verso di farmi passare gli editori. Le mie telefonate furono così tante (peraltro con un inglese piuttosto incerto, in quel periodo) che durante una delle ultime sentii l'operatore sussurrare al collega "it's him, again!". Continuai a telefonare, e alla fine mi passarono gli uffici degli editori! Dopo il giro a New York (due settimane durante le quali vidi un sacco di editori diversi) la Valiant fu la prima ad offrirmi lavoro, seguita poi da Marvel e DC. Durnate i primi appuntamenti mi sentii un coglione, perché avevo comprato apposta un doppiopetto nero con tanto di cravatta abbinata e scarpe nuove di zecca. Poi, quando mi resi conto che gli editori mi accoglievano in jeans e t-shirt, iniziai a capire qualcosa e ad andare agli appuntamenti successivi vestito in modo diverso. Ricordo ancora le loro facce quando si trovavano davanti uno che sembrava essere appena uscito da Wall Street!

 

Che differenze riscontrasti tra la metodologia di lavoro italiana, e di Ade Capone in particolare, e quella in voga negli USA?

 

Avendo avuto la fortuna di iniziare lavorando insieme a lui, direi quasi nessuna. Ade era molto dettagliato nelle sceneggiature di Lazarus, mentre con il Potere e la Gloria era un lavoro di squadra vero e proprio. Quindi, in un certo senso, mi aveva abituato a lavorare in entrambi i modi. La Marvel era la casa editrice che lasciava più libertà, ma DC e Valiant erano invece molto simili alla metodologia italiana. Quindi sceneggiature dettagliate, che sono quelle che ho sempre preferito.

 

Tavola in anteprima mondiale da Hawkeye #2 (c) MarvelDal 1995 al 2000 hai lavorato per tutti i principali editori d'oltreoceano; dalla Valiant sei approdato alla DC Comics e, subito dopo, alla Marvel. Una carriera da far invidia eppure non hai mai realizzato una collana su base regolare. A cosa è dovuto?

 

In realtà, Eternal Warrior per la Valiant era regolare! (Accidenti! Questa mi era sfuggita! NdStefano). Poco più tardi mi fu fatta un'offerta per la serie mensile di Captain Marvel, ma decisi di rifiutare. Non ero attratto dal personaggio.

 

Dopo essere stato lanciato come "la risposta italiana a Jim Lee" una volta giunto negli USA ti sei guadagnato una nuova etichetta, ti sei infatti ben presto trasformato nell'erede di Claudio Castellini. Ti hanno mai infastidito questi continui accostamenti con altri autori?

 

No, mai. Sapevo bene quello che stavo facendo. Sarei stato ipocrita ad infastidirmi. E poi non mi sono mai sentito erede di Claudio Castellini, è stata una fase nella mia ricerca di uno stile personale.

 

Hai mai avuto modo di parlare con Claudio Castellini? Cosa pensava del fatto che tu ti ispiravi al suo lavoro?

 

Non ho mai parlato con Castellini. Mi sono giunte voci di corridoio, ma non ho mai dato peso alla cosa (le voci di corridoio sono sempre false o mal riportate). Avevo invece letto una sua intervista dove mi accusava di plagio, facendo dell'ironia sul mio metodo di lavoro. Quella l'ho trovata una cosa buffa. Voglio dire... perché prendersela con un disegnatore che non ha fatto altro che applicare la stessa "formula" utilizzata da lui con Buscema? Ho sempre ammirato il talento tecnico di Claudio, perché è mostruoso, nessuno può dire che le sue tavole non siano tecnicamente belle. Però il suo Silver Surfer non esisterebbe senza il Silver Surfer di Buscema. Ognuno di noi è legato alle influenze di altri artisti (chi più, chi meno, ovviamente). Ho letto recentemente una bellissima intervista a Brian Hitch, dove parla della sua evoluzione da clone di Alan Davis ai lavori attuali, e dice delle cose giustissime proprio sulle influenze e su come poi ci si stacchi, per trovare la propria strada. Comunque, io sarei onorato di sapere che altri disegnatori prendono il mio lavoro per trarne insegnamento. Ricordo che, insieme a me, erano usciti centinaia di cloni di Jim Lee. C'è chi si è poi evoluto (vedi Charest, sopra tutti), e chi è rimasto solo un clone. Jim Lee certo non li ha accusati di plagio sebbene, come me, tutti all'inizio lo scopiazzavano alla grande. Credo non ci si dovrebbe mai dimenticare da dove si è partiti. E questo in qualunque campo.

 

Nel 2000 torni al mercato italiano. Grazie alla Cult Comics dai vita ad Arkain, un progetto che già avevi annunciato parecchi anni prima per la Liberty e che finalmente vede la luce. Aprendo uno dei quattro albi della miniserie appare immediatamente palese che il tuo stile ha subito una forte evoluzione. Le chine pesanti coprono un tratto graffiato e sgraziato, anni luce dalle influenze "castelliniane". Da cosa scaturì la decisione di rinnovare in maniera tanto inaspettata il tuo stile?

 

Io e Lorenzo Calza volevamo creare un prodotto che fosse a metà strada tra il supereroistico ed il bonelliano. Strada facendo, però, cominciavo a sentirmi davvero stretto, nello stile supereroistico. E sopratutto cominciavo a riscoprire e capire la bellezza di una narrazione chiara e ben costruita, priva di tavole ad effetto fini a loro stesse e spesso illeggibili. Se prima, durante tutto il mio "run" sui supereroi, volevo stupire con i miei disegni, adesso volevo anche raccontare. Inoltre volevo allontanarmi da tutte le mie influenze. Lorenzo ne sa qualcosa. Ricorderò sempre le nostre litigate furibonde, proprio per il modo diverso che avevamo di vedere e vivere il fumetto in quel periodo.

 

Tavola in anteprima mondiale da Hawkeye #2 (c) MarvelCome fu accolto Arkhain dai lettori?

 

Abbastanza bene, ma potrei dividere le reazioni in due gruppi. Da una parte chi urlava al mio "tradimento" nei confronti dei supereroi. Dall'altra chi invece era contento di verificare la mia ricerca di uno stile personale, e non solo. In Arkhain c'é anche una sudata scuola fatta di analisi dello storytelling, delle inquadrature e del movimento dei personaggi. Il risultato certo non è perfetto, e ci sono notevoli alti e bassi nelle tavole, fatti di figure talvolta legnose e poco espressive, ma è un lavoro del quale vado molto fiero perchè è stato il punto di partenza di un modo di disegnare che sentivo finalmente mio.

 

La conclusione della miniserie Arkhain ha rappresentato anche il tuo ultimo lavoro per un biennio. Fino a pochi mesi fa, infatti, si sono perse le tue tracce. Che cosa è accaduto?

 

Mi sono trasferito da Milano alla Sardegna. Ho preso in affitto una casa davanti al mare, e ho portato avanti il percorso iniziato con Arkhain. Non volevo scadenze. Volevo lavorare per me. Tornare, in un certo senso, a scuola. Nessun impegno lavorativo, insomma. Mi sono visto un sacco di vecchi film in bianco/nero, prendendo appunti e studiandomi le inquadrature. Ho fatto disegni dal vero e sono tornato a studiarmi la costruzione di una sceneggiatura, perché diventare autore completo è sempre stato un mio sogno. Poco a poco, ho iniziato a lavorare su una storia mia, partendo da una grande passione, gli zombie. E da lì è nato Fragile, un lavoro che racchiude tutti gli sforzi di quei due anni.

 

Come mai hai deciso di trasferirti proprio in Sardegna?

 

Ho conosciuto a Milano colei che poi sarebbe diventata mia moglie. Era in città per lavoro, con una trasferta prevista di tre mesi al termine della quale è dovuta ritornare in Sardegna. L'ho seguita sull'isola con l'intenzione di restarci solo un mese, ma già dopo una settimana avevamo trovato una casa vicino a Cagliari. Non avevo mai visto la Sardegna prima, e l'innamoramento per quella terra è stato un vero colpo di fulmine, come con mia moglie! Inoltre, come detto, volevo cambiare radicalmente vita, e così è avvenuto.

 

Ad un certo punto della tua carriera, mi sembra di capire, ti sei guardato allo specchio e quello che hai visto non ti è piaciuto. Di fronte a te hai trovato un disegnatore affermato ma senza una sua anima, bravo a copiare il lavoro degli altri ma "incapace" di sottrarsi alle fastidiose etichette che gli venivano attribuite. Una presa di coscienza a dir poco coraggiosa che denota, a mio parere, una forte volontà di sottrarsi ad un sentiero che sembrava già segnato; insomma una scelta consapevole di riappropriarsi del proprio destino. Quanto ti è costata questa presa di coscienza in termini psicologici ed economici?

 

In termini economici molto, ma è avvenuto a poco a poco. Sono partito per la Sardegna che avevo qualcosa da parte, ma dopo un pò di tempo ho dovuto imparare a fare i conti con un frigorifero progressivamente sempre più vuoto. Guardandomi indietro lo reputo un insegnamento fondamentale. Ho tutto un altro rapporto con i soldi e con la vita, adesso. In termini psicologici è stata una sfida. Che però sentivo "pericolosa", non "pesante". E ci sono in mezzo ancora adesso. Sebbene il mio stile sia già abbastanza evidente, comunque nei miei lavori ci sono ancora elementi di copia, che però non nascondo più come prima. Derivano ancora da mie insicurezze, se vogliamo. O più probabilmente dal fatto che adesso non reputo la copia come un mezzo per andare più rapidi, ma come un modo per imparare. Non sono certo un disegnatore "arrivato", e tantomeno famoso. Inoltre credo che un disegnatore possa davvero definirsi unico nel suo stile dopo un lavoro di almeno 10/15 anni. Ricordo che è stata una delle prime cose che mi hanno detto alla Scuola del Fumetto. Avevano ragione al 100%.

 

Tavola in anteprima mondiale da Fragile #2 (c) RaffaeleChe reazioni hanno avuto le persone che ti erano più vicine? Ti hanno compreso oppure hanno giudicato la tua decisione come una follia?

 

All'inizio mi hanno compreso tutti, ma dopo un anno e mezzo gran parte di loro aveva cambiato idea. Secondo molti sarei dovuto tornare sui supereroi con il mio solito stile, ed erano quasi tutti lì che mi passavano le nuove tavole al setaccio, con l'intento di trovarmi di nuovo i vecchi elementi di copia, per poi potermi dire "ecco, vedi. Tanto vale che torni sui supereroi". Mi alteravo un pò, rispondendo che sì, gli elementi c'erano ancora, ma erano davvero pochissimi, non riuscendo a capire perché cazzo si fissassero sulle singole vignette senza giudicare il lavoro nel suo complesso. A me il cambiamento sembrava evidente. Avevo sempre pronta una battuta, a riguardo: il mitico carretto per la vendita delle caldarroste. Dicevo sempre che male che andava sarei andato ad un angolo di strada a venderle! Però ero in Sardegna, a Cagliari mica si vendono caldarroste come a Milano!

 

Non hai mai temuto che una pausa di riflessione dalla durata imprecisata potesse in qualche modo farti perdere i contatti di lavoro che avevi creato negli anni precedenti?

 

Non lo temevo, ne ero certissimo. Ed infatti è stato così. Con il mio nuovo stile e con Fragile pronto ho dovuto ricominciare a muovermi da capo. I contatti li avevo persi praticamente tutti, e i pochi rimasti non si fidavano più di me, dopo un periodo così lungo di inattività. Non potevo dargli torto.

 

Due anni di umile scuola e di approfondimento su tecniche e stili di narrazione ed illustrazione hanno generato FRAGILE. Ci vuoi spiegare di cosa si tratta?

 

Fragile (in apparenza una serie horror) narra dell'amore tra due zombie, Alan e Lynn, in un mondo dove il 95% della popolazione mondiale è morta, ed i pochi vivi superstiti hanno organizzato centri di accoglienza e rifugi dove rimangono barricati. Alan è deceduto da poco, a causa di un banale incidente; Lynn Thomas è morta da più di un mese, e il suo tempo è prossimo alla fine, poiché il processo di decomposizione è già molto avanzato. In un mondo devastato si incontrano, trovano l'amore, e ha inizio un lungo viaggio, mentre il deterioramento del loro corpo è sempre più rapido, nel disperato tentativo di 'vivere' ancora, di capire cosa sia accaduto veramente. Fragile parla di amore per la vita nonostante tutto, di speranza, di sogni e, sopratutto della possibilità di innamorarsi della vera natura delle persone e delle cose, nonostante le apparenze, senza barriere fisiche (ai protagonisti mancano diversi "pezzi", e man mano che la storia procede è sempre peggio). I protagonisti si ritrovano attaccati alla "vita" come non avevano mai fatto prima. Sintetizzando, direi che Fragile parla di rinascita. La parte più difficile nella creazione visiva del progetto è stata la raffigurazione dei due protagonisti. Volevo mostrarli mutilati, con corpi sempre più fatiscenti, ma senza cadere nel volgare o nel cattivo gusto, e sopratutto volevo mantenere un'atmosfera "rosa", romantica. Ci sono anche diverse scene piuttosto violente, che non volevo fossero gratuite, ma giustificate e costruite in un certo modo. Volevo poi dare al tutto un'impronta molto cinematografica, utilizzando poche, grandi vignette per pagina. Un lavoro potente ed introspettivo allo stesso tempo. Le critiche in Francia sono state molto positive, e quindi credo/spero di essere riuscito nell'intento.

 

Tavola in anteprima mondiale da Fragile #2 (c) RaffaeleImmagino che dopo aver terminato FRAGILE il tuo primo impulso sia stato quello di vederlo pubblicato. Hai trovato subito un editore?

 

Ero fierissimo di Fragile, ma anche molto insicuro. Nessuno mi riconosceva più quando osservava quelle tavole, e quindi era davvero una partenza da zero, era quasi come aver cambiato nome ed essere alla pari con qualsiasi esordiente (sebbene con un pò di esperienza in più!). Inoltre non avevo mai stampato nulla come autore completo, ed era quindi ancora più difficile. Ci sono voluti quasi sette mesi per riuscire a piazzarlo. Il mio budget era davvero limitato, al termine di Fragile, e con la mia fida Epson Stylus 740 (ormai un catorcio) stampai 15 copie complete, a colori, di tutto il lavoro (tradotto in due lingue, colorato e letterato!), per un totale di quasi 900 pagine. Le prime risposte arrivarono dopo tre mesi, e tutte negative. Chi diceva che dovevo farmi vedere da uno psicologo, se pensavo di piazzare una storia raffigurante corpi umani a pezzi, chi mi diceva che era molto bello ma troppo lungo, o troppo lento, o troppo chiccazzosacosa. La Dark Horse e la Avatar Press furono la prime ad essere seriamente interessate, ma il prodotto restava troppo europeo, e sempre troppo lungo (tre volumi da 54 pagine l'uno). Dopo altri quattro mesi, quando ormai davvero stavo per uscire con il carretto delle caldarroste, mi è arrivata l'offerta degli Humanoids, che volevano stamparlo sia in Francia che in America (serializzato su Metal Hurlant, come sta avvenendo adesso). Ero talmente alla frutta, talmente disperato quando mi arrivò la loro offerta, che chiamai la mia compagna al telefono senza riuscire a parlare per cinque minuti, tra i singhiozzi. Subito dopo è arrivato il contratto, e poi anche l'offerta della Dark Horse per Hellboy e Blackburne.

 

Dal termine della tua pausa di riflessione al ritorno in pompa magna al mondo dei Comics il passo è stato breve. Se non erro il tuo primo lavoro è stato una storia breve per la collana antologica dedicata ad HELLBOY. Una breve storia che ha siglato l'inizio di una collaborazione molto proficua con Fabian Nicieza. Come è nato questo rapporto privilegiato tra voi due?

 

Il lavoro su Hellboy è arrivato dopo due anni e mezzo di assenza dai comics americani (Fragile, nel frattempo, l'avevo venduto). E' stata una cosa stranissima, nel senso che il tutto è esploso di colpo. Scott Allie, che si ricordava le tavole di Fragile, decise di farle vedere a Mignola e Fabian per il progetto Hellboy e, successivamente, per Blackburne. Fabian, in particolare, rimase molto colpito dal mio cambiamento (si ricordava di me da alcuni lavori che avevo fatto per la Marvel e la DC), e Scott mi richiamò poco dopo per affidarmi i progetti. E' un editore fantastico, che mi ha aiutato moltissimo a maturare (strigliandomi non poco, ogni tanto). Sempre di poche parole, ma efficaci. Se era convinto che un'inquadratura non funzionava, allora andava rifatta senza troppe parole. E quando un inquadratura non funzionava, non funzionava davvero. Vedeva errori che io proprio non riuscivo a vedere. Il rapporto con Nicieza si è creato nel tempo, lavorando sui quattro numeri di Blackburne Covenant. Le critiche sono state fantastiche, e al termine del progetto Nicieza mi scrisse che avrebbe voluto continuare la collaborazione, aggiungendo che stava attendendo la partenza di un paio di progetti.

 

Cosa altro hai prodotto (o ti accingi a produrre) in partnership con Fabian?

 

Sono al lavoro sulla serie regolare di Hawkeye, per la Marvel. Fabian mi ha contattato dopo due mesi dalla fine del nostro lavoro su Blackburne, dicendomi che c'era una chance su una nuova serie regolare dedicata ad Occhio di Falco, e dandomi i contatti di Tom Brevoort, che era interessato a vedere alcuni miei lavori (ho poi saputo che c'erano 9 altri disegnatori in lizza). I disegni sono piaciuti molto, e sono stato inserito poco dopo come disegnatore.

 

Tavola in anteprima mondiale da Fragile #2 (c) RaffaeleCome si sviluppa il rapporto lavorativo tra te e Fabian Nicieza? Vi sentite spesso? Che tipo di sceneggiature ti fornisce? E, infine, ti rende partecipe nella fase di stesura del plot oppure i vostri ruoli sono ben definiti e separati?

 

Ci sentiamo via e-mail, quando ho pronte alcune tavole nuove, o quando ho pronte le mie ennesime mille domande. Le sceneggiature sono dettagliate, all'europea, ma possiamo discutere insieme delle inquadrature. C'é una fiducia reciproca molto forte. E comunque quando una tavola disegnata diventa quella definitiva è perché siamo entrambi soddisfatti del risultato. I ruoli sono separati. Lui scrive, io disegno. Va bene così.

 

Da Marvel Fan di vecchia data ti chiedo di parlarmi un po' nel dettaglio della nuova serie dedicata ad OCCHIO DI FALCO?

 

Purtroppo non posso parlarne nel dettaglio, almeno fino a quando non uscirà il primo numero. Quello che posso dire è che si tratta di una serie noir, crime-fiction, dove Clint non sarà raffigurato in costume, ma in abiti civili. E' una bella sfida, perché si tratta anche di convincere tutti quei lettori da sembre abituati a vedere l'Occhio di Falco supereroistico, che è un personaggio che si cala alla perfezione in storie di questo tipo, più "normali", se vogliamo. Sia io che Fabian siamo entusiasti del risultato, e speriamo di arrivare almeno al secondo story-arc della serie (cioè fino al numero 12), ma anche un terzo, un quarto o addirittura un quinto story-arc... beh, non guasterebbero. Staremo a vedere! Noi ci crediamo davvero, e personalmente spero che Hawkeye rimarrà in circolazione con questa serie per molto tempo.

 

L'ultima volta che hai lavorato alla Marvel, l'Editor-in-Chief era Bob Harras, adesso, al tuo ritorno, la Casa delle Idee è guidata da Joe Quesada … hai notato delle differenze? Come giudichi il nuovo corso della Marvel?

 

Differenze non le ho notate. Lavoro a stretto contatto solo con Brevoort e Nicieza (non ho mai sentito Quesada). Il nuovo corso della Marvel lo giudico ottimo. Si stanno tentando nuove strade, e i frutti iniziano a vedersi. Il numero di copie vendute complessivamente sta continuando ad alzarsi. E' una salita lenta, ma continua. Stanno puntando molto sui volumi da libreria, ed anche sullo sviluppo di personaggi al di fuori del classico supereroe di qualche anno fa, ed è una mossa intelligente.

 

Oltre a HAWKEYE e FRAGILE hai altri progetti per il futuro?

 

Continuare con entrambe le case editrici. Terminato Fragile sto preparando una nuova storia per il mercato francese, che parla di un passaggio traumatico dall'adolescenza alla vita adulta, ed anche questa è una storia d'amore con elementi horror/fantastici. Ai disegni c'é un ragazzo davvero in gamba, che sono sicuro stupirà molte persone. Credo di avere tante cose da dire, come scrittore, e anche se devo ancora imparare molto, essendo agli inizi, è una strada che mi entusiasma percorrere.

 

La redazione di AmazingComics.it ringrazia Stefano Raffaele

per l'incredibile gentilezza e disponibilità che ha dimostrato nei nostri confronti

e per averci fornito IN ANTEPRIMA MONDIALE le tavole di "Hawkeye" (Marvel)

e "Fragile" (Humanoids) che corredano questa intervista!

 

Inoltre vi consigliamo di visitare il suo sito ufficiale,

www.stefanoraffaele.com

 

(21/10/2003)

 

   

 

www.amazingcomics.it