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Diego Cajelli

a cura di Stefano Perullo

 

Fotografia di Diego CajelliCiao Diego e benvenuto sulle pagine virtuali di Amazing Comics. Come è ormai consuetudine del nostro salottino ti invito a presentarti ai nostri lettori parlandoci un po' di te. Chi è Diego Cajelli?

 

Sono nato a Milano nel 1971, Leone ascendente Scorpione, un metro e settantatre per novanta kg di ciccia su muscoli, vorrei assomigliare a Bruce Willis ma invece mi avvicino molto di più a John Belushi. Un medium mi ha detto che il mio spirito guida è quello di un Cavaliere Medioevale, e questa cosa ha influito molto nella mia vita, ho una passione estrema per le Arti Marziali, segue le regole dell'Hagakure e non mi piace molto la Carne di Cavallo. Sono sempre stato molto curioso, molto polemico e molto mangione, per un periodo sono stato anche molto incazzato e molto cattivo, ma poi mi è passata... La mia estrema curiosità mi porta ad avere moltissime passioni, fumetto, cinema, letteratura e musica sono le principali, da loro ne "derivano" altre più specifiche, come l'ufologia, la criminologia, il noir, il cinema di Hong Kong, il Metal e il Country Sudista. Su un sito di scrittura americano, ho scoperto che tipo di scrittore sono, ovvero qual è la mia figura professionale secondo le loro "regole". Sono uno Scrittore Investigativo, uno che per scrivere si documenta andando a cercare informazioni e dettagli sul campo, sfruttando consulenti e basandosi su fatti reali. Se scrivo di qualcosa, è perché mi sono documentato notevolmente su quell'argomento, non basandomi su opere scritte da altri sullo stesso tema, ma approfondendo specificatamente il tema originario, se scrivo di Serial Killer studio i Serial Killer non riguardo Il Silenzio degli Innocenti. Scrivere mi piace da matti, è l'unica cosa che credo di saper fare, anche se non ho ancora imparato bene la punteggiatura. Tutte le altre cose che faccio, sono reincarnazioni della scrittura, è sempre la stessa cosa con facce diverse, dalla conduzione radiofonica al cabaret, tutto parte dalla scrittura, è lei il cuore e il cervello di questo organismo. La scrittura mi sveglia la notte, non posso farci niente, non la controllo io, lei arriva e vuole le mie mani per uscire, mi attraversa, è lei che comanda, io sono solo il mezzo che lei ha trovato per venire alla luce. In cambio io le do da mangiare, assumendo fortissime dosi di elementi narrativi, film, romanzi, documentari, fumetti, articoli, perché la scrittura si nutre di altra scrittura, mangia storie per crearne altre. Ma al tempo stesso ha bisogno di "uscire di casa" per capire meglio, ecco perché alcune cose sono frutto di esperienze dirette e non indirette. Ma non dirò mai a nessuno, quali cose ho fatto davvero, se non in presenza di un avvocato.

 

Illustrazione per Greenpeace, inedito di Marco GuerrieriA che età hai avuto la piena consapevolezza che "da grande" avresti voluto fare lo scrittore?

 

Scrivo da quando ho imparato a farlo, il mio primo racconto l'ho scritto in quarta elementare ed era lunghissimo, tanto lungo che non l'ho mai finito. La decisione che da grande avrei fatto lo scrittore l'ho presa a 12 anni, dopo aver letto A Volte Ritornano di Stephen King in prima edizione Sonzogno, con la manona con gli occhi in copertina. Per cui, in un primo momento, ho deciso che avrei scritto best seller dell'orrore, perché a 12 anni o scrivi best seller o fai l'astronauta, non ci sono vie di mezzo. Per cui, dai 12 ai 16 anni ho scritto qualcosa come 200 racconti brevi, terribili, prima scritti a mano, poi con una macchina da scrivere Olivetti Lettera 35, raccolti in un "libro" in un'unica copia, rilegato con il Vinavil, si chiamava Incubi, e non l' hai mai letto nessuno oltre a me. Quei racconti sono in prigione a casa dei miei, l'ultima volta che ho riletto quel malloppo ho riso come un matto, il mio preferito è "Lo Scoperchiatombe", la storia di un maniaco rumeno (Dio solo sa perché era rumeno) con l'hobby di scoperchiare tombe di cadaveri freschi per strappare loro le unghie. Poi incontra uno zombie e finisce tutto in un gran casino. Non credo che avessi la piena coscienza di aver scritto un racconto necrofilo, ma forse è per questo che anni dopo, quando ho visto Nekromantic di Buttergereit non mi ha fatto una gran impressione! Mi dilettavo anche con la fantascienza, ho scritto le avventure del il mio primo super eroe quando avevo 11 anni, era la storia un ragazzo di nome Philiph, che raccogliendo un pezzo di Ufo caduto si disintegra le mani, allora gli alieni per risarcimento gli danno due supermani in grado di fare di tutto. E lui con le supermani ci sconfigge i criminali. Insomma, fino a 16 anni, il mio destino era quello di scrivere romanzoni di 500 pagine. Leggevo anche fumetti, ma non avevo una piena coscienza di come si facevano, poi è uscito il numero uno di Dylan Dog e ho scoperto che esisteva la figura dello "sceneggiatore di fumetti", e così ho unito le mie due passioni. Scrittura e fumetti. Perché a disegnare, ci ho provato, ma non sono proprio buono! Vorrei aggiungere una cosa, una polemica, tanto per cambiare…. In tutti gli ambienti scolastici istituzionali che ho frequentato, dalle elementari alle superiori, non ho MAI trovato un docente che mi aiutasse, o che mi incentivasse, anzi, mi sono sempre scontrato con l'estrema chiusura, da parte dei docenti, nei riguardi di una scrittura che andasse oltre al temino o alla relazione. La mia fantasia, in un primo periodo, è stata vissuta come un problema, come una distrazione dai programmi scolastici, il fatto che leggessi libri per conto mio, scegliendo da solo cosa leggere, era vissuto come un affronto. Forse sono stato io particolarmente sfigato! Sfigato al punto che fino al 1990, e avevo 19 anni, io ho SEMPRE scritto di nascosto. Solo frequentando il corso di sceneggiatura alla scuola del Fumetto ho scoperto che scrivere non era una cosa brutta da tenere segreta, ma un qualcosa da condividere.

 

Scrivere fumetti è stato da sempre il tuo obiettivo, oppure, tanto per citare Antonio Serra, scrivi fumetti solo perché non ti riesce di scrivere degnamente un romanzo?

 

Scrivere fumetti non è un'alternativa a scrivere romanzi, è adeguare al mercato un'attitudine letteraria. Una cosa non esclude assolutamente l'altra, anzi. Amo il seriale, amo le storie di genere, amo gente che si spara addosso e i mostri, e tutto questo lo posso scrivere solo nei fumetti. Ho voglia di scrivere un romanzo, ne ho moltissimi nel "cassetto", ma non sono bravo come Pinketts, Dazieri o Mongai, devo ancora macinare pagine per riuscire a scrivere un romanzo per come lo vorrei. Un romanzo, forse, sta per uscire da cassetto, un noir, poi vedremo…

 

Tavola da "Lelè, Sabri e Tobia", disegni di Luca BerteleCome è stata accolta in famiglia la decisione di dedicarsi ad un lavoro tutto sommato così inusuale e così poco "stabile"?

 

Quando la mia passione è esplosa, ovvero quando ho smesso di scrivere di nascosto, la "cosa" è stata percepita come passeggera, come una passione giovanile, destinata ad infrangersi di fronte alle prime difficoltà. Mio padre ha un'impresa di impianti elettrici, e finite le superiori, mi sono messo a lavorare con lui, ma avendo sempre la testa tra le nuvole, ho combinato più danni che altro. Non mi ricordo bene come sono andate le cose, forse sono stato molto convincente, o forse si sono resi conto che era meglio appoggiarmi fino a quando la "cosa" non si fosse esaurita da sola. Ho mollato il lavoro da operaio e mi sono messo a cercare di campare scrivendo. Mio padre mi ha appoggiato, magari non capiva esattamente che tipo lavoro avessi in mente di fare, ma mi ha dato una grossa mano economica nel primo periodo. Dal '91 al 92, smettendo di scrivere di nascosto, sfornai due romanzi, uno terribile, ben 200 pagine di niente e uno di racconti, abbastanza carino, seguiti da una tonnellata di soggetti per Splatter, Mostri e L'Interpido, nessuna di queste cose vide mai la pubblicazione (tranne che per un paio di racconti, trasformati anni dopo in sceneggiature erotiche per Selen). Poi ho pubblicato la prima cosina, e mio padre ha capito che la "cosa" funzionava non solo nella mia testa, ed è passato a cercare di capire che cazzo di lavoro facessi. L'ha capito, ed è passato alla fase "vediamo che cosa diavolo racconta". Ora è il mio più grande fan esistente al mondo.

 

Spulciando la tua biografia scopro che il tuo primo incarico professionale lo hai ottenuto alla tenera età di 22 anni. Ricordi di cosa si trattava?

 

Virtual Heroes, casa editrice Delga, costola dell'Intrepido. Mamma mia….. Ci tengo a dire che i personaggi non li avevo creati io, ma erano stati elaborati da loro e avevano bisogno solo di uno che li sceneggiasse!! Poi c'è stato Demon Hunter, anche lì, sono stato solo uno sceneggiatore. La prima cosa interamente ideata da me è stata Pulp Stories.

 

Dopo quanto tempo hai dato vita alla TrogloComics, e quali obiettivi vi eravate posti nel fondare questa casa editrice?

 

Mi sembra che la Troglo l'abbiamo fondata nel 1994. Gli albori dell'autoproduzione italiana…. Bè, il discorso era semplicissimo: non ci sono gli spazi per pubblicare? Facciamoceli da soli!

 

Negli anni '90, complice senza ombra di dubbio il massimo splendore raggiunto del mercato fumettistico ed il conseguente proliferare della librerie specializzate, si è diffuso massicciamente il fenomeno dell'auto - produzione. Ogni mese giovani autori, spesso parecchio acerbi, esordivano con una nuova serie (o almeno con il tentativo ambizioso di produrre una nuova serie). Cosa ha rappresentato per te l'auto-produzione?

 

Il discorso è piuttosto complesso. Bisognerebbe spiegare molto bene come era il panorama editoriale in quel periodo, bisognerebbe partire con quest'analisi dalla generazione di fumettisti precedente alla mia. Diciamo quella che ha avuto la fortuna di lavorare per le riviste, e per riviste intendo: L'Intrepido, Il Monello, Corrier Boy, e simili, Splatter, Mostri e derivati, fino a Frigidaire e confratelli. Io non sono un Autore con la "A" maiuscola, non sono Brolli, non sono Palumbo, non sono Pazienza o Scozzari, sono uno scrittore di storie di genere, per cui le riviste d'autore non avrebbero mai apprezzato il mio tipo di fumetto. Rimanevano le varie riviste di "genere" che c'erano in quel periodo, dove fare un po' di gavetta, anche i pornazzi a due strisce andavano benissimo. Ma le redazioni non erano chiuse, erano sigillate ermeticamente. Non c'era un gap generazionale tra editor e giovani autori, c'era la fossa delle Marianne. Fino ai primi anni '90 uno aveva la fortuna di fare la gavetta essendo pagato, dopo il '94 la gavetta è stata fatta senza paga o mettendoci i soldi di tasca propria. Posso dire la verità? Si? Tra le cose auto prodotte dagli "autori acerbi", e le storie dell'Intepido o del Monello o di Gore Scanners o di Splatter c'è solo una differenza, i secondi erano pagati per fare della merda i primi no. Ma merda rimane. Prendi un qualsiasi numero dell'Intrepido dei primi anni '90 ,e paragonalo alle produzioni dello Shok Studio o ai vari numeri zeri che proliferavano in quel periodo. Cazzo, vincevamo noi 10 a 1. Eppure non eravamo degni per lavorare per una casa editrice. L'auto produzione era l'unico sistema, l'auto produzione era l'unico modo per fare quello che gli altri avevano fatto prima di noi, la sana gavetta, con l'unica differenza del compenso, che noi non avevamo. Pulp Stories è stato rifiutato dall'Interpido di Pedrocchi. Io ci credevo, ci credevo tantissimo, e ho pensato: ma vaffanculo!, e l'abbiamo auto prodotto con la Scuola Del Fumetto, dove facevo da assistente. Tutte le prime cose auto prodotte sono state fatte con rabbia, e rileggendole io lo noto, soprattutto nelle prefazioni…

 

Tavola da "Lelè, Sabri e Tobia", disegni di Luca BerteleAuto - prodursi può, secondo te, in alcuni casi significare fuggire dalla realtà e non voler confrontarsi con una giusta e pesante gavetta?

 

Nessuna gavetta è formativa come l'auto produzione, senza un editore alle spalle, senza una redazione che ti tutela, ti prendi certe palate in faccia che o ti distruggono o ti fanno crescere di brutto! Nelle prime fiere del fumetto, il pubblico non era culturalmente preparato al fatto che CHI aveva fatto il fumetto te lo vendeva direttamente, ti beccavi i commenti in diretta, dopo una prima, frettolosa sfogliata di pagine. Sai le risse che stavo per fare? Mi ricorderò per tutta la vita, gli occhi rossi di Marco Innocenti (faceva Lenin, ti ricordi?) durante un Expocartoon, durante la quale il pubblico romano era particolarmente avvezzo "al complimento". Ao' ma che cazzo me pare dilandogghe, fa schifo! vero Marta? Di fronte a Marco che l'aveva fatto, editato e prodotto, dietro al suo banco. Quale gavetta è più gavetta di questa? Poi è successo qualcosa, la sensazione che ho avuto io è che all'inizio le auto produzioni erano un qualcosa di legato alla realtà editoriale ma differenti per stile e per tematiche, erano cose nuove ma con i piedi per terra. Oggi non è più così. Molte auto produzioni possono essere solo auto produzioni, non perché un editor imbecille non capisce cosa gli stai proponendo, ma proprio perché nascono e muoiono in un ambiente auto referente e nichilista. Oppure sono io che sono diventato vecchio…

 

Come sceneggiatore ti sei formato alla Scuola del Fumetto di Milano. Al fine di svolgere professionalmente il mestiere di sceneggiatore quanto è importante seguire degli insegnamenti "istituzionali"?

 

Non ci sono insegnamenti, c'è solo la trasmissione di un'esperienza. E' solo attraverso la condivisione dell'esperienza e non attraverso una base didattica che si può imparare un mestiere come questo. La mia fortuna è stata quella di entrare in contatto con dei grandissimi professionisti, partendo dal mio docente alla scuola del fumetto: Antonio Tettamanti. Ho avuto la fortuna di aver capito qualcosa di questo lavoro perché le persone con cui ho lavorato me lo hanno fatto capire, ora credo di essere in grado di ripetere quel qualcosa a qualcun altro. E' per questo che mi permetto di provare ad insegnare questo lavoro. Lavoro e non teoria. Se non pubblicassi più, smetterei di insegnare, non lavorando, non avrei niente da trasmettere a nessuno.

 

Terminati gli studi, sei rimasto alla Scuola del Fumetto come docente. Come ti sei trovato a passare dall'altro lato della barricata? Che tipo di dialogo instauri con i tuoi allievi?

 

La mia "materia" può essere molto noiosa, io spiego sceneggiatura a classi di disegnatori, non ad un corso specifico per sceneggiatori. Il mio compito verso di loro è quello di fargli capire come leggere e interpretare una sceneggiatura, come correggerne gli errori, o di metterli nelle condizioni per scriversi le storie da soli. Per farlo devo vincere la loro noia innata, devo tenere altissima la loro soglia di attenzione, e c'è un solo e unico modo, devo farli divertire mentre spiego e mentre li faccio lavorare. Per cui, le mie lezioni sono un qualcosa a metà tra un happening teatrale e dei monologhi di cabaret. Ho molte soddisfazioni dai miei allievi.

 

In qualità di docente, ti sei mai dovuto misurare con la necessità di smorzare gli entusiasmi dei tuoi allievi o addirittura con la necessità di disilludere completamente i loro sogni di gloria?

 

L'unica cosa che devo spiegare mille volte è questa: L'arte non si coltiva con la sregolatezza, per fare fumetti ci vuole costanza e impegno non "facciamoci un cannone e vediamo cosa viene fuori", semmai il cannone ce lo facciamo dopo aver lavorato. Il mio più grande nemico è quell'imbecille che ha messo nella testa della gente il concetto che per fare un lavoro artistico non ci sono regole da rispettare, anzi, devi essere un ubriaco che corre nudo per i prati con il dondolino di fuori. Fare fumetti vuol dire avere un'estrema costanza, seduto, giù la testa e lavora, altro che assenza di regole e dondolini al vento. Poi ai ragazzi rompo le palle su un'altra cosa. Vale di più una storia breve di otto pagine iniziata e finita, magari un banalissimo giallo, rispetto ad una saga fantasy di tremiladuecento tavole con ottocento pagine di trattamento, iniziata e mai andata oltre a tavola 2.

 

Vignetta da "Dampyr" di Giugno, disegni di Fabio BertoliniIl tuo battesimo di fuoco lo hai avuto sul finire dello scorso decennio, approdando nello staff di Napoleone. Come è avvenuto il ingresso nella più prestigiosa casa editrice della nostra penisola?

 

Ambrosini mi teneva d'occhio da un po'! In oltre, in quel periodo sceneggiavo le avventure di Tony e Clint, le disegnava Enea Riboldi per il giornalino nell'Alleanza Assicurazioni. Ambrosini e Riboldi lavorano nello stesso studio, le loro scrivanie sono ad un passo l'una dall'altra. Quando Napoleone è passato da miniserie a seriale, Ambrosini deve aver detto ai capi che gli serviva uno sceneggiatore per dargli una mano, e che quello sceneggiatore ero io. Mi ha chiamato e mi ha offerto il lavoro. Io, tremante, ho accettato.

 

Sulle pagine di Napoleone è nata la tua collaborazione con Pasquale Del Vecchio, con il quale hai realizzato ben 5 delle 6 storie sin ora pubblicate. Come è scaturita questa collaborazione? Del Vecchio come interpreta le tue sceneggiature?

 

Pasquale è un importantissimo punto di riferimento. E' così solido da poter rimediare con un solo tratto a tutte le cazzate che può fare uno sceneggiatore esordiente. Io credo che nessuno si fidasse tanto di me, per cui mi hanno affiancato ad un disegnatore di provata e navigata esperienza e sicurezza, in modo che potesse mediare tutte le mie ingenuità. Poi, raggiunta una certa sicurezza, è arrivato Ornigotti, e poi ancora Pasquale per la mia ultima storia napoleonica pubblicata.

 

La mia impressione è che tu nutra nei confronti di Napoleone una sorta di amore malsano. Nelle avventure da te sceneggiate gli hai fatto passare dei gran brutti guai, facendogli trascorrere un lungo periodo in carcere e narrandoci addirittura della sua dipartita. Cosa ti attrae di questo personaggio, e cosa ti stimola a fargli tanto male?

 

A dire la verità, volevo solo fare delle storie interessanti, volevo impegnarmi e guadagnarmi la paga, rendere al massimo le potenzialità del personaggio e fargli vivere delle avventure che i lettori si ricordassero per sempre! Non ho mai analizzato il MIO rapporto con Napoleone, non faccio auto analisi sulle storie che scrivo, ma visto che di questo "strano rapporto con Napo" me ne parlano tutti, forse è il caso che cominci a farlo!

 

Il tuo lavoro sulle pagine del bimestrale della casa editrice di Via Buonarroti ha suscitato un coro unanime di plausi e consensi. Eppure pare che tu non fai più parte dello staff creativo di Napoleone, mentre le solite malelingue dicono che Ambrosini (creatore e curatore della serie) non gradisse di essere messo in ombra da te e dal tuo operato. C'è un fondo di verità, oppure si tratta dei soliti pettegolezzi?

 

Maddai! Ma ti pare?! Ambrosini è un maestro, ha carisma da vendere e una cultura spaventosamente superiore alla mia, non credo proprio che si metta in competizione con l'ultimo arrivato, con me, che sono fondamentalmente un cazzone. Non credo proprio che si sia sentito messo in ombra, e se poi così fosse, non sarebbe così stupido da scalzarmi dalla serie, visto l'apprezzamento dei lettori e della critica verso il mio lavoro. Semplicemente, Napoleone è un bimestrale, sono sei numeri all'anno, uno se lo scrive Bacillieri da solo, ne rimangono cinque, se non ci sono situazioni di estrema emergenza, è meglio che li faccia tutti il creatore del personaggio! I miei sei numeri hanno dato sufficiente spazio "vitale" per portare avanti la serie, ora il mio aiuto non serve più e sono passato ad altre testate.

 

Tavola da "Legs" #95, disegno di Davide PercontiA breve dovremmo poter leggere alcune tue storie scritte per Legs e Dampyr. Qual è stato il tuo approccio a questi personaggi così differenti tra loro?

 

Raccontare storie è un po' come cucinare, possono venirti meglio i risotti piuttosto gli arrosti, ma una volta che impari il mestiere del cuoco, sai cucinare un po' di tutto. Dampyr, Legs, Zagor, sono dei personaggi che sento molto vicini, ho studiato tutte le loro storie uscite fin ora, ho analizzato i temi e le dinamiche narrative, poi ho provato ad elaborare dei soggetti con gli ingredienti che mi sono rimasti in mano. E le storie sono venute fuori da sole…

 

Se Sergio Bonelli ti chiedesse di creare una nuova testata, naturalmente completamente affidata a te, che genere di personaggio ti piacerebbe sviluppare e, scusa la ridondanza, in che genere narrativo ti piacere ambientarlo?

 

Ti sembrerà strano ma non vorrei una serie mia. Il mio sogno è di usare i personaggi esistenti, raccontandoli in maniera diversa, un po' quello che ha fatto Miller con Batman, Azzarello con Cage, o Millar con Ultimates. Mi piacerebbe fare un qualcosa fuori dalle serie regolari, dove del personaggio vengono mantenute le caratteristiche principali, ma cambia il modo con cui vengono raccontate le avventure, mutanto lo storyboard o i linguaggi, o semplicemente i ritmi narrativi e i punti di vista. Bho? Si potrebbe fare? Appena trovo il coraggio, provo a chiederlo! Vado a pensare ad una serie, valà…

 

Abbiamo parlato molto della tua collaborazione con la SBE, ma tu sei un vero vulcano di idee. Cosa mi puoi dire di "Milano Criminale" che sarà pubblicata a breve per i tipi dell'Alta Fedeltà?

 

Milano Criminale è la mia "serie", un poliziesco ambientato a Milano nel 1975, frutto del mio amore per i film polizieschi all'italiana degli anni '70. Amo i film di Massi, Di Leo, Caiano, Lenzi, mi piacciono i temi, le tecniche di ripresa, la violenza e le colonne sonore. Con Milano Criminale sto cercando di riportare quel tipo di iconografia nel fumetto, adattando e correggendo alcuni errori di forma e attualizzando le linee per i fumetti di oggi. All'origine è uscito un numero zero con la Factory un paio di anni fa, 16 pagine a colori, disegnate da Maurizio Rosenzweig, poi, quando la nostra collaborazione è finita (Maurizio ha cominciato la sua serie di libri, ed è giusto che un autore come Maurizio si scriva le sue cose) ho cominciato a portare avanti il progetto da solo. Ho trovato un validissimo disegnatore: Marco Guerrieri, che sta finendo il numero uno, verrà presentato a Lucca, un volume di 72 pagine in bianco e nero, corredato da articoli e redazionali. A Lucca spero che i tipi di Alta Fedeltà mi dicano: occhei e dopo? Vorrei farne un altro. Uno all'anno, sarebbe bello. La parte più divertente è stata la documentazione, abbiamo fatto un lavoro immane di ricerca storica, quintali di fotografie d'epoca, su Milano, sugli esterni, sugli interni, sulle facce, sui vestiti, sugli oggetti e perfino sui manifesti da mettere sui muri e i giornali da mettere nelle edicole. Se avessimo i soldi per editarlo, meriterebbe un libro a parte! il Making Of!

 

Sono stato molto colpito dalla tua storia per Alta Fedeltà Vol. 1 (su disegni dell'ottimo Bertelè), una avventura breve ma molto significativa in cui sei riuscito a coniugare sapientemente tematiche adolescenziali, azione e dramma. Confermami che non si trattava di una storia con un fondo autobiografico.

 

Non vorrei rispondere in modo diretto a questa domanda. Per me una storia può essere il veicolo di una sensazione, ma una sensazione non può essere la storia stessa, volevo raccontare una sensazione attraverso un racconto, se questa sensazione è arrivata è ininfluente che sia autobiografica o no. Non faccio fumetti d'Autore, non sono parte di quell'elite, le mie storie devono avere un valore indipendentemente dal metatesto costruito sulla mia persona. E' la storia che conta, non chi te la racconta!

 

Studio grafico di Mario Costa, uno dei protagonisti di "Milano criminale - La banda del muto", disegno di Marco GuerrieriDi te si dice che sei capace di scrivere di tutto, dalla favola per bambini al pornazzo da caserma … ma tu cosa prediligi?

 

Davvero non lo so, ogni volta che affronto un genere nuovo mi ci diverto come un bambino con in mano un giocattolo appena uscito! Ora sto scrivendo Zagor, scrivere Zagor è estremamente bello! E' divertente e appagante. Prediligo il non prediligere!

 

Qual è il tuo metodo di lavoro? E, se ne hai una, come è strutturata la tua giornata lavorativa tipica?

 

Scrivo tutti i sacrosanti giorni. Per scrivere non intendo soltanto l'atto pratico di mettersi a battere sulla tastiera, ma anche lo stare a pensare a cosa scrivere senza usare le dita, lo "stare con la testa tra le nuvole". Tutti i giorni elaboro una storia, o immagino i passaggi di quelle che sto scrivendo, penso i dialoghi, vedo le facce e le azioni, valuto le alternative, provo le scene. Questo lo faccio sempre, Natale e giorno del mio compleanno compresi. L'atto pratico della scrittura non è sempre quotidiano, quando mi metto seduto a scrivere magari batto solo due righe se non è giornata. Ma mi sono comunque portato avanti mentalmente… Arrivo anche a 20 tavole in un'unica sessione, se sono particolarmente in forma e se trovo la musica giusta, perché la musica è importantissima, è una compagna fedele come le sigarette e il caffè solubile nella tazzona grossa. Quando scrivo posso avere i P.O.D. a volume 20, ma non una persona che mi chiede cosa voglio per cena, devo essere solo, assolutamente, fottutissimamente solo nel mio habitat, devo avere libero accesso ai miei libri per consulti rapidi, non devo aver nessuno intorno. Altrimenti il contatto telepatico con la scrittura e le mie dita di rompe, e va tutto a farsi benedire. Grazie al cielo ho incontrato una donna che queste cose le capisce, altrimenti sarebbe impossibile pensare di andare a vivere assieme!

 

Che tipo di sceneggiature realizzi, molto dettagliate all'europea oppure più "free" all'americana, oppure adatti il tuo stile al disegnatore cui la sceneggiatura è destinata?

 

In genere, chiedo sempre al disegnatore cosa gli pace disegnare e cosa no. Mi piace parlare con il disegnatore mentre descrivo la scena, ma non ho un modo unico di scrivere, posso essere molto preciso quando serve, e lasciare molta libertà su altre cose. Facciamo un esempio và…

 

(Dampyr, L'Ultima notte) TAV 28 1/2: Panoramica frontale, vediamo l'interno del locale di cui parlavamo un paio di tavole fa. E' il classico locale/attrazione alla turca, ci sono un po' di foto nei libri che ti allego, architetture in stile, pochissima luce, narghilè sui tavoli, camerieri in costume tipico che servono il tè, una pedana su cui si esibiscono un paio di ballerine discinte in costume, una vorticosa danza del ventre, alle loro spalle un paio di vecchi che suonano i loro strumenti, le ballerine non sono un granchè, sono piuttosto chiatte per essere sinceri. Da un lato un lungo bancone con dietro un barista baffuto che serve da bere agli avventori in piedi di fronte al banco, La gente è poca, un paio di turisti, un po' di brutti ceffi, un tipo da solo (su cui mi soffermerò più avanti) e in bella evidenza, seduti ad un tavolo vediamo Harlan e Kurjak. La gente è seduta su dei cuscini, a terra ci sono dei tappeti e i tavoli sono bassi bassi. Kurjak guarda le ballerine, Harlan si guarda attorno.

Kurjak: Sai cosa ti dico?, che Tesla aveva torto… questo posto non è affatto male! Harlan: Già, c'è un bel movimento, per essere solo le sei di sera…

Prima sono preciso, ma poi…

3: Zoom verso i due, si guardano in giro, Kurjak sorride.

Kurjak: Se devo essere sincero, comincia anche a piacermi la danza del ventre… Harlan: Quella non è Danza del Ventre, è solo una cicciona che si agita…

 

Insomma, a seconda di cosa vorrei sono più o meno rompiballe!

 

Vignetta da "Milano criminale", disegni di Marco GuerrieriA quali fonti attingi per avere idee da sviluppare?

 

Alla cronaca, all'ambiente cospirazionista, ai saggi sui misteri, sui crimini, sulle cose orribili e schifose che accadono su questo pianeta. Ma ovviamente, cerco di rubacchiare qualcosa anche a strutture narrative già elaborate, come film, telefilm o libri e fumetti, cercando sempre di arrivare alla radice della narrazione, amo smontare le strutture narrative originarie, lo trovo più etico perché bisogna fare più fatica, bisogna rivedere mille volte un film per carpirne i segreti, al di là del soggetto, ragionando in termini di trama pura, privandola di tutti i fronzoli.

 

Che consigli ti senti di dare ad un aspirante scrittore?

 

Gli unici consigli che posso dare sono quelli che nessuno può seguire, se non sono già attivi nel proprio DNA. Essere curiosi. Quando si scrive, bisogna essere sinceri.

 

Accanto alla tua carriera di scrittore si sta facendo largo anche quella di cabarettista. Come riesci a conciliare le tue due vite? Se dovessi rinunciare ad una delle due a quale rinunceresti?

 

Sto già rinunciando alla vita del cabarettista. Il mondo dello spettacolo mi fa del male, ci ho messo un po' a rendermene conto, ma è una cosa piuttosto dannosa per il mio umore e per il mio lavoro. Il Cabaret ha messo in luce i lati peggiori del mio carattere, mi sono scoperto invidioso e rancoroso, ho scoperto di riuscire a provare un odio malsano, riversato su molte persone. Mi sono ritrovato con un Diego che non conoscevo, e che non mi è piaciuto per niente. Non si può fare tutto nella vita, a qualcosa bisogna rinunciare, specialmente se è una cosa che può minare la propria stabilità emotiva. Forse è stato bello, forse ho ottenuto brillanti risultati, ma è in via di declino, mi ha preso troppo tempo ed energie. E' ora di metterlo in castigo, almeno per un po'.

 

Come ci si sente ad essere il single più acido d'Italia?

 

Come George Foreman, a Kinshasa, nel 1974, verso la fine dell'ultimo round, quando ha cominciato a capire….

 

Grazie Mille!

(23/5/2003)

 

   

 

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